Il tumore della tiroide riguarda circa il 5% dei noduli tiroidei, che invece sono molto comuni con una prevalenza di quasi il 50% della popolazione.
Secondo l’ultimo rapporto Airtum, nel 2017 ci sono state più di 15.000 nuove diagnosi di tumore alla tiroide e si prevede che diventerà il secondo tumore più frequente nelle donne entro il 2020.
Radiofarmaco (99mTc-MIBI) è al centro delle più innovative metodiche di medicina nucleare per la diagnosi di malignità dei noduli “indeterminati”, come attesta uno Studio pubblicato su Thyroid – rivista della Società Americana per la Tiroide – che è uno snodo ulteriore del lavoro di ricerca “How Nuclear Medicine improves management of Differentiated Thyroid Cancer”, sulla diagnosi precoce, terapia e follow-up del carcinoma differenziato della tiroide (CDT) (la forma più frequente di tumore tiroideo).
L’autore è Alfredo Campennì (nella foto), vice-coordinatore europeo dell’Interest Thyroid Committee dell’Associazione Europea di Medicina Nucleare e ricercatore dell’Università di Messina, presso l’UOC di Medicina Nucleare del Policlinico Martino, diretta da Sergio Baldari.
Professore Campennì, cos’è il carcinoma indifferenziato della tiroide?
«Va premesso che il tumore tiroideo prevalente (circa il 90%) è il Carcinoma Differenziato (di tipo papillare/follicolare) con alti tassi di sopravvivenza a 40 anni dalla diagnosi iniziale. Il carcinoma anaplastico (o indifferenziato) della tiroide (CAT), invece, è un tumore molto raro (così come quello midollare: 5-6% di tutti i tumori tiroidei) che copre il 3-4% di tutti i tumori della tiroide, con circa un centinaio di casi in Italia, ma è gravato da un’elevata mortalità. La maggior parte di questi pazienti non sopravvive oltre un anno dalla diagnosi».
La difficoltà diagnostica sulla definizione di benignità o malignità quale tipologia di nodulo riguarda?
«Rimane centrale il tema del valore predittivo del referto citologico (volto a definire con esame al microscopio la natura delle cellule estratte sul materiale ricavato dal nodulo, attraverso l’agoaspirato: esame con cui con un semplice ago da siringa, guidato mediante ecografia, si estrapola il liquido dall’interno della lesione nodulare), che permette di classificare il nodulo tiroideo come benigno (Tir2), sospetto (Tir4) o maligno (Tir5). Laddove non sia possibile definire la sua natura si parla di noduli a citologia indeterminata (cd. Tir3 secondo la classificazione SIAPEC -Società di Anatomia Patologica e di Diagnostica Citologica)».
La tireologia nucleare ha introdotto novità importanti…
«Parliamo di un radiofarmaco, il 99mTc-MIBI (definibile anche come Radioindicatore positivo), che è al centro di uno studio, di cui sono coordinatore, e che consente un rapido e non invasivo esame scintigrafico della tiroide (esame strumentale bidimensionale ottenuto attraverso l’acquisizione delle radiazioni emesse dalla tiroide dopo la somministrazione del radiofarmaco). A seconda che si concentri o meno nel nodulo da indagare, permette di definirne la natura: se non si accumula, o viene velocemente eliminato, significa che il nodulo “è buono”. In caso contrario, è maligno. Ciò permette di ridurre il numero di pazienti da avviare alla terapia chirurgica e scongiura interventi non necessari, con significativo risparmio per il sistema sanitario. Spesso, infatti, il nodulo sospettato come maligno, non si conferma tale all’esame istologico».
Il radioindicatore positivo (99mTc-MIBI) per la diagnosi del nodulo tiroideo a citologia indeterminata in quale centri siciliani è utilizzato?
«In Sicilia solo presso il nostro centro al Policlinico Universitario di Messina. Inoltre, viene usato nella Svizzera italiana, presso l’Istituto oncologico di Bellinzona-Lugano, in Germania ed in Austria».
Rispetto alla terapia standard del carcinoma tiroideo, ovvero la rimozione chirurgica della ghiandola tiroidea, la radioterapia radiometabolica con 131-radioiodio in cosa consiste?
«Dopo la rimozione chirurgica della ghiandola tiroidea spesso residua del tessuto sfuggito al bisturi (“residuo tiroideo”). La terapia radio metabolica, che si effettua assumendo per via orale una compressa di iodio radioattivo, permette di “bruciare” selettivamente il residuo tiroideo che, con il tempo, potrebbe evolvere o dare metastasi».
Limiti del trattamento?
«Perché fosse efficace, prima, era necessario sospendere per almeno un mese la terapia con l’ormone tiroideo (la L-tiroxina), perché solo così il residuo tiroideo era capace di accumulare lo iodio radioattivo, ma di contro, senza la terapia ormonale sostitutiva, il malato andava incontro a disagi ( stanchezza, sonnolenza, bradicardia, alterazioni dell’umore ad es.)».
Un problema superato oggi..
«Sì. Per la preparazione alla terapia radiometabolica possiamo utilizzare il cd. “TSH umano ricombinante”, un ormone prodotto in laboratorio del tutto simile a quello secreto dall’organismo che permette allo iodio radioattivo di accumularsi ugualmente nel suo bersaglio (tessuto tiroideo) anche se il paziente assume la tiroxina».
Come viene somministrato?
«Con un’iniezione intramuscolare quotidiana, nei due giorni precedenti il trattamento radiometabolico, senza cagionare alcun effetto indesiderato, eccetto, in casi rari, mal di testa o nausea di lieve entità».
In Italia, questo trattamento viene effettuato?
«Sì, nei centri di medicina nucleare di riferimento, come il nostro, dotati di posti letto “protetti” e, poiché il TSH umano ricombinante è un farmaco ospedaliero, è dispensato tramite File “F”, dunque non è a carico del paziente».
Qual è l’obiettivo futuro al centro dell’agenda dell’Interest Thyroid Committee?
«Insieme al Coordinatore Europeo dell’Interest Thyroid Committee – Prof. Luca Giovanella, Università di Zurigo – puntiamo alla promozione di studi multicentrici europei mirati sia alla più ampia diffusione della scintigrafia della tiroide con radioindicatore positivo (per la migliore definizione diagnostica del nodulo tiroideo a citologia indeterminata) sia ad ottimizzare la terapia con 131-radioiodio delle metastasi da CDT mediante approccio dosimetrico personalizzato».
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