Quest’anno, il 10 dicembre, la Giornata Mondiale per i Diritti Umani ha compiuto 70 anni e ci piace ricordare, in questa occasione, che i diritti delle donne sono diritti umani. Le numerose battaglie portate avanti per fare in modo che le discriminazioni di genere, in tutte le loro manifestazioni, fossero considerate una violazione dei diritti fondamentali è stata lunga e ancora ci vede sul campo a lavorare a tal fine. Era solo il 1993 quando a Vienna la Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani ha segnato un importante passo avanti per il riconoscimento dei diritti delle donne e delle bambine che vengono definiti “parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali”.
Sentiamo molto spesso parlare di integrazione, termine e concetto che nel corso del tempo ha visto diversi slittamenti semantici, non ultimo l’idea di uno sforzo di adeguamento culturale a cui devono attenersi coloro che migrano, dando a questa parola un sapore di sforzo e costrizione che possono invece cambiare di segno se parliamo di integrare i diritti e non “adeguare” le persone. Ampliare i diritti e integrarli nella vita dei paesi significa infatti dare possibilità di vita migliori a chi vi risiede e ricordare questo in un’epoca di profonde disuguaglianze non è affatto scontato.
Spesso queste ultime sono intese esclusivamente in termini di reddito e di ricchezza – la linea di demarcazione tra ricchi e poveri – ma in realtà le disparità economiche non sono che una parte del problema. Molte altre dimensioni, sociali, politiche e istituzionali, si alimentano a vicenda precludendo, nel loro insieme, ogni speranza di progresso e benessere per chi vive ai margini. Tra i miliardi di persone immobili in fondo alla scala economica e sociale la maggioranza è composta da donne e ragazze, che vedono negati i propri diritti umani e prospettive di miglioramento. Quando milioni di donne lottano contro discriminazioni e privazioni, non solo i costi per le società e le economie si moltiplicano a dismisura ma si affievoliscono le prospettive di promuovere una società più stabile ed equa, un mondo più inclusivo e più sano. La questione salute e accesso ai servizi sanitari diventa ovviamente cruciale, essendo un diritto fondamentale che se garantito ne porta con sé altri. I diritti sono strettamente collegati uno all’altro, dove ne manca uno quasi sempre di conseguenza ne scivolano via altri, dove se ne rafforzano alcuni ne scaturiscono altri.
Il Rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) del 2017, dal titolo “Mondi a parte. Salute e diritti riproduttivi nell’epoca della disuguaglianza” nell’analizzare lo stato della popolazione mondiale dimostra, attraverso dati e statistiche aggiornate, come due aspetti cruciali della nostra epoca sono la disuguaglianza di genere e le disparità nell’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva. La salute sessuale e riproduttiva è un requisito fondamentale per donne e ragazze e il loro stato psicofisico ha diretto impatto sulle figlie e figli, sulla comunità di riferimento e sui paesi in cu vivono; se una donna non ha possibilità di studiare e di conseguenza avere un lavoro che garantisca un reddito è difficile che avrà accesso ai servizi per la salute, soprattutto nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, dove le ragazze non hanno accesso all’istruzione secondaria; se una ragazza non può avere accesso ai servizi sanitari incorre facilmente in gravidanze indesiderate, il 43% delle gravidanze non è pianificato e le gravidanze precoci sono in aumento. Questo comporta spesso il ricorso all’aborto clandestino. Non avere il potere di decidere se, quando e a che distanza avere figli può condizionare e limitare l’intera vita di donne e ragazze.
La conferenza tenutasi al Cairo nel 1994 su popolazione e sviluppo che ha rappresentato una pietra miliare nel cammino per l’affermazione dei diritti sessuali e riproduttivi universali, ha anche plasmato le politiche globali in materia di servizi attualmente in vigore. Il documento che ne e? risultato, il Programma d’azione del Cairo, sottoscritto da 179 nazioni, ha riunito le iniziative in materia di istruzione, salute, ambiente e riduzione della povertà, attraverso una visione dello sviluppo centrato sulle persone ed un approccio di integrazione dei diritti umani. La Conferenza ha stabilito una nuova rotta per la comunità internazionale definendo il nuovo concetto di “salute riproduttiva” definita come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale – e non semplicemente un’assenza di malattie o di infermità – in tutti gli aspetti relativi all’apparato riproduttivo, ai suoi processi e alle sue funzioni. La salute riproduttiva implica quindi che le persone abbiano una vita sessuale soddisfacente e sicura, che abbiano la possibilità di procreare e la liberta? di decidere se, quando e quanto spesso farlo. Implicito in quest’ultima condizione e? il diritto di uomini e donne a essere informati e avere accesso a metodi di pianificazione familiare di loro scelta che siano sicuri, efficaci, economicamente accessibili e accettabili, come anche a metodi di regolazione della fertilità di loro scelta che non siano contrari alla legge, e il diritto di accesso a servizi sanitari appropriati che permettano alle donne di affrontare la gravidanza e il parto con sicurezza e offrano le migliori opportunità di avere una prole sana.”
Nei nostri progetti tocchiamo con mano due cose fondamentali: l’importanza di garantire la salute delle donne e la capacità trasformativa e di innovazione che queste riescono a portare nelle società in cui vivono. AIDOS lavora da anni aprendo nel mondo dei Centri per la salute delle donne creati sul modello dei consultori italiani, riadattati alle necessità dei paesi in cui vengono realizzati, i centri sono sempre frutto del lavoro che l’Associazione porta avanti in partnership con un’organizzazione locale che definisce necessità e priorità in una reale cooperazione di intenti e risultati. L’approccio usato basato sui diritti umani ci permette di svolgere attività di prevenzione e cura nel rispetto del diritto fondamentale alla salute di tutte e di tutti che comporta anche il diritto ad una maternità sicura, ad una nascita sicura, ad una vita libera dalla violenza oltre che ai diritti sessuali e riproduttivi. Grazie a quest’azione che riguarda anche la sensibilizzazione e l’educazione, viene favorito un processo di empowerment delle donne che non si vedono più come beneficiarie dei progetti ma portatrici e titolari di diritti sia nelle loro famiglie che nelle comunità in cui vivono. Ne discende, quindi, un diverso ruolo che integra la sfera della riproduzione con quella della produzione superando anche stereotipi e atteggiamenti culturali che spesso possono relegare le donne in ruoli subalterni. Nei nostri progetti volti alla creazione di microimprese di donne, cerchiamo di integrare la componente “salute”: uno stato di salute sano favorirà un maggiore livello di attenzione nelle formazioni per la creazione di microimprese e per lo sviluppo stesso delle imprese; queste saranno più “sane” e con maggiori possibilità di generare un reddito.
Per realizzare tutto ciò è necessario un approccio olistico alla questione di genere che garantisce alle ragazze la possibilità reale di autodeterminarsi, avendo quindi accesso al credito, all’istruzione, alla salute per poter diventare parte attiva della società in cui vivono.
Fondamentale resta l’opportunità di scelta o come dice l’ultimo rapporto UNFPA il potere di scegliere, questo vale per i cosiddetti Paesi in via di Sviluppo, come per il nostro. Infatti la disuguaglianza di genere attraversa il pianeta intero seppur con forme a volte differenti. Il rapporto delle Nazioni Unite ci mostra come i diritti sessuali e riproduttivi non sono garantiti nemmeno da noi, analizzando la transizione demografica esce fuori l’impossibilità reale delle donne di decidere del proprio corpo e della propria riproduzione.  Negli ultimi 150 anni i tassi di fecondità sono diminuiti in quasi tutti gli Stati, attualmente la fertilità è globalmente inferiore di circa il 50% rispetto alla metà degli anni ‘60. Da una situazione in cui in tutti i paesi del mondo si registravano tassi di fecondità di almeno cinque figli per donna, oggi nella maggioranza di quelli con almeno un milione di abitanti i tassi di fecondità sono al massimo di 2,5. Il rapporto annuale rileva come le dimensioni della famiglia, grande o piccola che sia, sono interconnesse con i diritti riproduttivi, a loro volta collegati ad altri diritti: salute, istruzione, accesso al lavoro, libertà di fare le proprie scelte. Il rapporto fornisce una fotografia dei trend demografici globali, concentrandosi sulla parola “scelta” e dimostrando, dati alla mano, come in tutto il mondo e per motivi differenti, la possibilità di decidere del proprio futuro è spesso negata, in particolare a donne e ragazze, a causa delle disuguaglianze di genere.
Se da una parte ci sono, nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, circa 214 milioni di donne che sono a rischio di iniziare una gravidanza non desiderata, a causa della mancanza di accesso a servizi sanitari, a metodi moderni di contraccezione, o per fenomeni quali matrimoni e gravidanze precoci, dall’altra in paesi più sviluppati vi è un tasso di fertilità spesso inferiore a due nascite per donna, sovente per motivi economici, accesso al lavoro, reddito inferiore rispetto agli uomini, assenza di welfare. Senza infine tralasciare la violenza di genere, diffusissima in tutte le società, che rappresenta uno dei più grandi ostacoli al raggiungimento dell’uguaglianza di genere.
La libertà di scelta può cambiare il pianeta. Può migliorare rapidamente il benessere di donne e bambine, trasformare famiglie e comunità, accelerare lo sviluppo globale sostenibile.
Serve insomma una strada alternativa – che affronti le disuguaglianze in tutte le loro dimensioni, capace di generare, integrandoli, benefici significativi per la salute, sviluppo del capitale umano e sradicamento della povertà. I paesi più poveri che hanno una popolazione giovane già numerosa o emergente e che riescono a ridurre i divari nell’accesso alla salute sessuale e riproduttiva e a promuovere l’uguaglianza di genere, hanno anche il potenziale per raccogliere e massimizzare il dividendo demografico, generato anche dall’avere una forza lavoro più numerosa, sana e produttiva. Tutto ciò sarà possibile solo se politiche e programmi metteranno realmente al centro della loro azione il rispetto dei diritti umani delle donne.
L’articolo La “via femminile” all’integrazione sociale proviene da eColloquia.