La tecnologia tipicamente si “evolve”, procede per sequenze incrementali, sebbene a uno sguardo esterno possa non sembrare così, in realtà quello che noi pensiamo sia una “innovazione tecnologica” è il risultato di successivi avanzamenti fatti sulla base di ciò che è stato raggiunto prima. È l’impatto che la tecnologia ha sulla società che ha del rivoluzionario.
E quando parliamo di rivoluzione siamo sempre portati a pensare a qualcosa che irrompe nella nostra vita, cambiandocela improvvisamente, qualcosa di violento, che si impone con la lotta. La rivoluzione digitale invece, è andata liscia come l’olio. Come scrive Alessandro Baricco nel suo illuminante saggio “The Game” (Einaudi, 2018), la rivoluzione “è andata ad annidarsi nella normalità – nei gesti semplici, nella vita quotidiana, nella nostra gestione di desideri e paure.” Nel digitale ci siamo scivolati senza neanche accorgercene: “Qualcuno ci ha imposto un modello di vita che non ci appartiene? Sarebbe scorretto rispondere di sì. Qualcuno ce l’ha PROPOSTO, se mai, e noi ogni giorno torniamo ad accettare quell’invito, imprimendo al nostro stare al mondo una precisa torsione rispetto al passato”.
Ce lo hanno proposto, e noi lo abbiamo accettato perché, è evidente, questo nuovo modello di vita ci permette una integrazione maggiore nel mondo in cui viviamo.
Eppure c’è un campo che resiste. O meglio, c’è un campo in cui l’innovazione (soprattutto quella relativa all’intelligenza artificiale) si è arrestata al crocevia tra hype e realtà. Pensiamo ad esempio a Watson e agli scarsi risultati ottenuti. Cosa sta impedendo all’IA di raggiungere i risultati sperati nel campo della salute e della ricerca? (Ne avevamo già parlato qui e qui.) Gli esperti di IA sono convinti che la causa sia da ricercare nella scarsa qualità dei dati immessi nel sistema: “Messy, unstructured data don’t magically clean themselves, and no fantasy AI robot will do it” ma anche nella scarsa professionalità di alcuni “data scientist”, che si professano tali senza esserlo. Ma, soprattutto, “collaboration is the key”: nessuna singola tecnica di intelligenza artificiale può vincere qualsiasi sfida. È necessario personalizzare il processo di sviluppo dell’IA per quello che deve essere il campo di applicazione e l’utente specifico. E questo può essere fatto solo attraverso una stretta collaborazione tra più discipline, incluso l’utilizzatore finale.
La verità è che quella della rivoluzione digitale, è solo all’apparenza una rivoluzione non sanguinaria, ma in realtà di “morti” (nel senso figurato del termine) è cosparso il suo cammino: parliamo di tutte quelle applicazioni abbandonate strada facendo. Sempre dal libro di Baricco: “Su Wikipedia c’è una interessante lista di dot.com franate in quegli anni. È un cimitero suggestivo, una specie di Spoon River dei sogni digitali. Sono andato a dare un’occhiata perché, ho pensato, lí avrei trovato le tracce delle montagne che poi non si alzarono mai sulla crosta terrestre, i resti delle vertebre mai nate. Sono entrato, e poi non c’era più verso di farmi uscire. C’erano delle storie fantastiche. I cimiteri non mi deludono mai.
C’è anche un altro, non banale, ostacolo. Esiste un conflitto ineludibile tra la necessità di regolare e stabilire standard basati sull’evidenza di ciò che funziona ed è sicuro, e il desiderio di innovare, sperimentare e produrre nuovi modi per far progredire la salute umana. Il settore sanitario è altamente regolamentato per garantire la sicurezza e la privacy dei pazienti, mentre l’information technology può avanzare senza gli stessi vincoli. Prendere le misure di una per confezionare un abito all’altra, forse, è stato un nostro errore.
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