Quella della integrazione del malato all’interno della società, a partire dalla Legge Basaglia del 1978, è stata e continua ad essere la vera sfida per la psichiatria. L’inclusione sociale infatti non è solo un fattore decisivo per il recupero del malato, ma anche un fattore protettivo per la salute mentale di tutti. Malati e non. Come Marcello. Marcello che chiama “amore” i cani di cui si prende cura. Marcello che porta la figlia adorata a fare immersioni nel mare scuro nei dintorni di casa sognando con lei la trasparenza delle Maldive. Marcello che gioca a calcetto con gli amici del quartiere. Marcello che è amico di tutti, anche di Simone. Simone è il “bullo” del microcosmo sociale di cui Dogman ci parla: cocainomane e fisicamente molto forte, tiene sotto scacco l’intero quartiere con le sue violenze, i ricatti, le minacce. Anche Marcello, soprattutto Marcello. Che infatti a Simone non riesce a dire di no. Anzi, solo una volta ci prova. E quella volta sui due piatti della bilancia c’è la violenza di Simone da una parte e il tradimento dei suoi amici dall’altra. Ci prova Marcello a dire di no: “Qui tutti mi vogliono bene”. Ma Marcello è fisicamente e mentalmente fragile e a vincere sarà più che la paura di morire (Simone può letteralmente spezzargli il collo con le mani). l’incapacità a rispondere “no” alla domanda “Sono amico io tuo? Sì o no?”.
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C’è un momento nella storia di Dogman in cui tutto si fa più chiaro. È un momento iniziale, particolare, neanche uno dei più memorabili se paragonato alle innumerevoli potenti inquadrature di cui il film è composto: c’è un tavolo di una trattoria, cinque o sei persone (tra cui Marcello) mangiano un piatto di spaghetti. Dicono che così non è possibile andare avanti, Simone sta approfittando della pazienza di tutti. Dicono “prima o poi qualcuno lo ammazza”. Dicono: “Chi ci può aiutare?”.
I cani randagi, così come i lupi, si riuniscono in branchi: è il branco a fornire sicurezza, difesa in caso di minaccia, supporto psicologico nei momenti più duri. È il branco dei pari che protegge Marcello, lo fa sentire parte di una comunità, gli dà un senso, gli fornisce un ruolo.
Nel momento in cui Marcello cede alle pressioni fisiche di Simone per lasciargli compiere una rapina nella gioielleria a fianco bucando il muro del suo negozio di toilette per cani, quello che Marcello perde è il suo fattore protettivo: l’integrazione all’interno di un gruppo.
Sarà per rimediare a questa esclusione forzata che Marcello deciderà di dare una lezione a Simone. Fino all’irreparabile. Fino all’allucinazione finale: vuole dire ai suoi amici che stanno giocando a calcetto che ci ha pensato lui a Simone, che il problema è risolto, che non devono avere più paura, urla a bordo campo Marcello, ma nessuno lo sente, nessuno si gira. Perché in quel campo non sta giocando nessuno.
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