
Gli studi epidemiologici sono rivolti tradizionalmente a stabilire l’esistenza di un’associazione statistica fra un fattore eziologico, o predittivo, ed una malattia. Cosa si intende per associazione? L’associazione è il grado di dipendenza statistica tra 2 o più eventi variabili; questi si definiscono associati soltanto quando sono correlati tra loro in modo maggiore o minore di quanto si verifichi per effetto del caso.
Esistono, in linea generale, tre tipi di associazioni: causali, spurie e non causali. Si parla di associazione causale quando una ben definita esposizione provoca o aumenta il rischio di un determinato effetto (ad esempio esposizione a fumo di sigaretta e tumore del polmone). Una associazione spuria, invece, è falsa ed è dovuta alla presenza di errori sistematici, dovuti a vizi nell’impostazione o nella esecuzione di uno studio (ad esempio, un errore nel campionamento) e che conducono a una stima errata (per difetto o per eccesso) della forza dell’associazione. Si parla, infine, di associazione non causale quando la malattia e l’esposizione sono entrambe associate a un altro fattore x, che è il vero responsabile dell’associazione; in questo caso si dice che l’associazione è mediata dal fattore x. Una interazione di questo tipo prende il nome di «confondimento».
Come è possibile dimostrare l’esistenza di una associazione essendo ragionevolmente sicuri che le differenze osservate non siano casuali? La risposta deriva dalla scienza statistica che, attraverso test in grado di determinare l’esistenza (o l’assenza) di differenze statisticamente significative, consente di escludere (con un certo grado di probabilità, ma mai con assoluta certezza) che una eventuale associazione sia dovuta al caso.
Una associazione statistica può indicare l’esistenza di una correlazione causale tra la variabile in studio e il fenomeno osservato, tuttavia non dimostra necessariamente l’esistenza di un rapporto causa-effetto fra le due variabili risultate associate.
In altre parole, «associazione» non è sinonimo di «causalità».
La prova che un’associazione tra due fenomeni sia basata su una relazione causa-effetto deve avvenire seguendo una metodica accettata nel mondo scientifico, ovvero verificando la rispondenza a precisi criteri di causalità. Per le valutazioni di causalità in epidemiologia si continua a fare riferimento ai criteri proposti nel 1965 da Sir Austin Bradford Hill, comunemente accettati dalla comunità scientifica.
Ad eccezione della sequenza temporale, nessuno dei criteri è condizione necessaria perché un nesso causale esista, tuttavia quanti più se ne verificano tanto più è plausibile pensare che una associazione statistica osservata possa essere l’espressione di un nesso causale. I criteri di casualità più rilevanti sono:
• Forza o grado dell’associazione: maggiore incidenza della malattia in studio nel gruppo degli esposti rispetto a quello dei non esposti.
• Evidenza sperimentale: riproducibilità sperimentale dell’associazione causa-effetto rilevata in uno studio osservazionale.
• Temporalità: il presunto fattore di rischio deve precedere temporalmente l’insorgenza della malattia.
• Consistenza: l’associazione tra fattore di rischio e malattia deve essere confermata in contesti diversi.
• Relazione dose-risposta: aumento dell’effetto all’aumentare dell’esposizione.
• Coerenza o plausibilità biologica: la possibilità logica che l’esposizione in studio possa causare la malattia.
Il numero di associazioni o relazioni causali esplorabili in ambito biomedico è molto ampio, e non riguarda soltanto l’identificazione dei fattori di rischio, interesse questo che in passato è risultato preminente, ma interessa anche l’epidemiologia clinica e valutativa.
Oltre al tradizionale campo dell’epidemiologia eziologica – in cui si studiano le associazioni tra agenti infettivi e malattie infettive, o tra fattori di rischio e malattie cronico-degenerative – le possibili relazioni causali in medicina e in epidemiologia possono riguardare anche il campo dell’epidemiologia sperimentale. Si passa dalla valutazione di efficacia di interventi terapeutici, in cui si valutano trattamenti farmacologici o chirurgici rispetto ad esiti clinici, alla valutazione di efficacia di interventi preventivi, come gli studi che valutano la relazione tra uso dei vaccini e riduzione dei casi di malattia infettiva.
In alcuni casi le relazioni causali possono riguardare l’epidemiologia valutativa, e comportano la valutazione non solo di una particolare procedura organizzativa, ma anche di un intero servizio sanitario.
Un esempio di epidemiologia valutativa è rappresentato dallo studio dell’associazione volume di attività ospedaliera ed esiti degli interventi sanitari. I volumi di attività rappresentano una delle caratteristiche misurabili di processo che possono avere un rilevante impatto sull’efficacia degli interventi e sull’esito delle cure. La letteratura scientifica in questo ambito si è molto sviluppata nell’ultimo decennio, soprattutto per quanto riguarda il volume di interventi chirurgici. Nel 2005 è stata pubblicata la prima overview di revisioni sistematiche che valutavano l’associazione volume ed esiti degli interventi sanitari senza restrizione per patologia o intervento. La revisione è stata aggiornata nel 2012 e, in relazione all’esito «mortalità intraospedaliera/a 30 giorni», emergono evidenze di una associazione positiva tra volumi di attività ospedaliera ed esito per diverse aree cliniche, tra cui l’area cardiologica e la chirurgia cardiovascolare ed oncologica.
Lo studio dell’associazione tra volume ed esito delle cure ha permesso di sviluppare importanti indicatori di valutazione dell’efficacia e sicurezza delle prestazioni sanitarie e, grazie al Programma Nazionale Esiti (PNE) strumento istituzionale di valutazione del sistema sanitario nazionale, la qualità delle cure nel nostro Paese è costantemente monitorata
Bibliografia
- Attena F. Epidemiologia e valutazione degli interventi sanitari. Padova: Piccin – Nuova Libraria, 2004.
- Hill AB. The environment and disease: association or causation? Proc R Soc Med 1965; 58: 295-300.
- Davoli M, Amato L, Minozzi S, et al. Volume di attività ed esito delle cure: una revisione sistematica della letteratura. Epidemiol Prev 2005; 29 (3-4 Suppl): 3-63.
- Amato L, Colais P, Davoli M, Ferroni E, et al. Volume and health outcomes: evidence from systematic reviews and from evaluation of Italian hospital data. Epidemiol Prev 2013; 37 (2-3 Suppl 2): 1-100.
Eliana Ferroni
Servizio Epidemiologico Regionale, Azienda Zero, Regione Veneto.
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