Secondo il Tribunale amministrativo regionale, chi rifiuta l’obbligo vaccinale deve essere messo in condizione di lavorare da remoto.

Il Tar Lombardia rimette parzialmente in discussione il provvedimento di sospensione degli operatori sanitari che rifiutano il vaccino anti-Covid, stabilendo che gli stessi debbano essere messi in condizione di svolgere il proprio lavoro da remoto.

Come noto, la Legge 76/2021 prevede che la vaccinazione anti-Covid costituisca requisito essenziale per l’esercizio del lavoro da parte “degli esercenti professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario”. Ebbene, la sentenza del Tribunale amministrativo lombardo reinterpreta parte della disposizione alla luce di un principio di matrice europea, secondo cui, tra le scelte necessarie a soddisfare l’interesse pubblico, bisognerebbe adottare “l’opzione meno gravosa per i soggetti interessati, evitando sacrifici inutili”, e mantenendo dunque una certa proporzione tra il fine e i mezzi, tra l’interesse pubblico e le misure impiegate per il suo perseguimento.

In altre parole, se esistono alternative che permettano di svolgere la professione senza entrare in contatto con il pubblico (come l’assistenza telefonica, la telemedicina o simili), queste devono essere accessibili agli operatori sanitari che non abbiano rispettato l’obbligo vaccinale. Insomma, se da un lato il Tar Lomardia, in linea con la Corte Costituzionale, sembra giustificare il “temporaneo sacrificio dell’autonomia decisionale degli esercenti professioni sanitarie” in ordine alla somministrazione del vaccino, dall’altro pare aprire uno spiraglio all’alternativa telematica.

Redazione Nurse Times

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Coronavirus, Tar Lombardia rimette in discussione la sopensione dei sanitari non vaccinati
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