Associazioni di pazienti

Il punto di vista di T Genus

Intervista a Michele Formisano, Presidente T Genus

Pagina Facebook Associazione T Genus
Pagina Facebook Associazione T Genus Lazio

Ci racconti come nasce T Genus?

L’associazione T Genus nasce il 15 aprile del 2014 dalla mia volontà, e da quella di altre persone, di mettere a disposizione del prossimo esperienze e competenze, partendo dalla convinzione che il benessere di una comunità non può prescindere dal diritto di una persona di vivere secondo la propria identità, che comprende il diritto di condurre una vita consona alla propria identità di genere e di autodeterminare personali scelte di vita.

T Genus è “giovane” ma ha già raggiunto risultati importanti, li vuoi ripercorrere per noi?

Nonostante T Genus sia una realtà giovane vanta già ottimi risultati. Tenendo conto che è un’associazione senza scopo di lucro, tutto ciò che riusciamo a fare è frutto della volontà e dell’impegno degli associati. Spesso, le iniziative promosse sono finanziate direttamente dagli stessi.
Il primo traguardo risale al 2014, anno di costituzione dell’Associazione, con l’introduzione dell’alias presso l’Università degli Studi di Bari. Da quel momento è stato possibile procedere al rilascio (per lo studente/ssa in transizione che lo volesse richiedere) del doppio libretto universitario con l’indicazione del nome di elezione (alias).
Da allora tanti altri atenei hanno seguito la buona pratica del doppio libretto universitario.
Da subito abbiamo profuso energie e tempo per l’organizzazione di convegni ed eventi culturali di spessore al fine di sensibilizzare e informare le persone sulle tematiche care a T Genus. Più volte siamo stati ospitati in Senato. Abbiamo raccolto sostegno e interesse presso la Casa del Cinema di Roma così come presso tante altre autorevoli location. Spesso, abbiamo incontrato l’Altro in sedi meno istituzionali, sebbene siamo convinti che una minisala, un pub, una libreria, una qualsiasi occasione sia favorevole, purché si respiri amore e rispetto dei diritti.
Nell’ultimo anno, ci pregiamo di aver partecipato ad un tavolo di lavoro presso l’Istituto Superiore di Sanità, indetto per occuparsi finalmente delle tematiche in questione.
Va detto che ormai, nonostante abbia solo quattro anni di vita, T Genus è conosciuta su tutto il territorio nazionale, anche grazie a due pagine Facebook e a un gruppo di sostegno online. L’attività sul web ci ha permesso di creare una vasta rete di volontari e professionisti in grado di accogliere, supportare e indirizzare le persone nei centri in base alla loro posizione geografica.

Quali sono le sfide maggiori che affronterete in futuro?

T Genus continuerà a lavorare per favorire la crescita di una società in cui le persone Transessuali vivano visibili e integrate, senza pregiudizi, con il diritto a esprimere la propria identità di genere, il diritto a una vita sociale, lavorativa, affettiva e familiare, libera da interferenze e con la possibilità reale di accesso a tutti i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dai trattati e dagli standard internazionali. Nell’immediato il proposito è quello di intensificare le pratiche di riflessione e di ricerca sulla relazione tra transizione e spazi narrativi, educativi, virtuali, ciò al fine di comprendere le forme che sta assumendo (e potrà assumere) questa dimensione nel passaggio da spazio medicalizzato e burocratizzato a spazio di cultura, di contaminazione culturale, di decostruzione di stereotipi e di rimodellamento di diritti. In estrema sintesi, puntiamo all’implementazione della conoscenza e dell’incontro dell’Altro, stimolando il confronto interculturale e l’aggregazione. La sfida più ardua è il diritto alla salute. Di fatto le persone T, ad oggi, sono quasi invisibili per il Servizio Sanitario Nazionale, o meglio visibili solo nel periodo di transizione.

Come immagini l’Associazione T Genus tra 5 anni?

Intanto la immagino. Ciò significa che intendiamo continuare ad impegnarci. Mi piacerebbe che diventasse più istituzionale e professionale, con un maggior numero di persone attive, più volontari che mettono a disposizione tempo ed energie al di là del bisogno individuale e circoscritto della propria transizione. Mi piacerebbe contare in T Genus tante persone con la possibilità reale di cambiare, restando persone capaci di guardare l’Altro con empatia e rispetto. Non è poco ma io ci credo.


Il punto di vista di EpaC Onlus

Intervista ad Ivan Gardini, Presidente EpaC onlus

Sito EpaC Onlus

Oggi si sta assistendo a una svolta epocale: la possibilità di arrivare ad eliminare l’Epatite C. Quali gli strumenti che hanno fatto sì che l’Associazione avesse e abbia un ruolo chiave e di assoluta protagonista per arrivare a questo cambio di passo?

Penso sia il caso di distinguere due categorie di “strumenti”. Quelli materiali e quelli immateriali.
Il principale “bene” immateriale è stato la motivazione, mia personale e di tutti i collaboratori e i volontari dell’Associazione. Certamente non basta, ma senza motivazione è praticamente impossibile affrontare eventi di tale portata ma anche le implicazioni e complicazioni derivanti dalla commercializzazione di farmaci innovativi salva vita che funzionano praticamente al 100% e senza effetti collaterali significativi.
Poi serve la credibilità, che ci siamo costruiti durante questi 20 anni di attività a fianco di malati, familiari e cittadini. Nessuna istituzione pubblica o società scientifica (ma anche i pazienti) che rappresentiamo ci avrebbe appoggiato se non fossimo stati credibili sotto tutti i punti di vista.
Ma queste due nobili caratteristiche non servono a molto se non si ha a disposizione un minimo di struttura operativa solida e affidabile, ovvero sedi indipendenti e personale retribuito, e con risorse economiche quantomeno sufficienti per affrontare alcune sorprendenti criticità, che mai mi sarei sognato di incontrare durante un percorso che doveva celebrare un evento favoloso per milioni di cittadini malati da molti anni. Ad esempio, la totale mancanza di informazioni aggiornate sulla reale prevalenza dell’epatite C aveva generato sovrastime di pazienti da curare tale da indurre i decisori a garantire l’accesso gratuito ai farmaci salva vita solo ai pazienti più gravi, limitazione rimossa a Marzo 2017. Un evento senza precedenti.
Non immaginavamo neppure la conseguente strumentalizzazione della malattia per fini politici. Dove uno o più soggetti – politici e non – si sono improvvisati scienziati, epidemiologi e ragionieri, divulgando dati e informazioni non conformi alla realtà – con particolare riferimento alla prevalenza della malattia e al prezzo di cessione di farmaci – pur di mettere in difficoltà il governo di turno e sollevare indignazione.
Qualcuno ricorderà lo scenario apocalittico che un numero crescente di politici e corporazioni (le più svariate) prospettavano: il default del SSN a causa dei costi elevati dei farmaci. Chiunque sostenesse il contrario era sicuramente al soldo delle aziende farmaceutiche o comunque in una posizione di conflitto di interessi: che i pazienti dovessero essere curati subito perché rischiavano la vita era argomento di secondaria importanza.
Per ripristinare la verità dei fatti, abbiamo avviato una indagine epidemiologica (durata un anno e senza contributi pharma) sulla reale prevalenze dell’epatite C in Italia, risultata 3 volte inferiore rispetto a quella propagandata. Inoltre, era doveroso scorporare il numero di pazienti noti da curare subito (sui quali si possono fare stime di budget impact realistiche) dal numero ipotetico di pazienti che ancora devono scoprire l’infezione, quantità difficili da stimare e che comunque non rappresentano un capitolo di spesa finché non sono diagnosticati.
Infine siamo stati i primi a chiarire pubblicamente i prezzi di acquisto dei farmaci al netto degli sconti: circa il 70% in meno rispetto al prezzo di listino e, da diverso tempo, ancora più scontati. Dunque abbiamo fornito a tutti, già nel 2016, uno scenario di eliminazione della patologia del tutto sostenibile, e non solo: abbiamo ipotizzato per la prima volta che i farmaci si sarebbero ripagati velocemente con i risparmi generati.
Le conferme delle nostre previsioni non sono tardate ad arrivare: già nel tardo 2016 le strutture ospedaliere iniziavano a svuotarsi poiché i pazienti venivano curati a ritmi industriali. Le nostre stime di prevalenza sono improvvisamente diventate “abbastanza credibili”. Il cerchio si è chiuso quando sono stati commercializzati altri farmaci innovativi innescando il meccanismo della concorrenza che ci ha consentito di negoziare prezzi di acquisto tra i migliori al mondo.
Il nostro ultimo aggiornamento sulla stima dei pazienti ancora da curare, con diagnosi nota e non nota, segna una ulteriore svolta: dal “quanti ce ne sono” al “quanti ne sono rimasti, dove sono, e cosa serve per”.
In realtà non ho una risposta precisa alla domanda: posso dire che abbiamo avuto il grande coraggio di sconfinare in ambiti non di competenza di una Associazione di pazienti, ma anche sufficientemente capaci e intelligenti da attingere a quei contenitori (big data) di informazioni indirette – ma molto utili – consultabili dai cittadini.
Ci sarebbe molto altro da dire – come ad esempio fare squadra con altre Associazioni di pazienti, scendere in piazza per protestare, acquistare pagine di grandi quotidiani per i nostri appelli – ma quella specifica attività sopra descritta è stata il punto di svolta. Penso quindi che tutti possano intuire quanto possedere/o non possedere determinate informazioni possa influire in maniera determinante sulla vita delle persone.

Quanto resta ancora da fare sul cammino verso l’eliminazione della malattia?

In una scala da 1 a 100, io penso siamo vicini al 35-40% di lavoro fatto. Ma ora viene la parte più complessa. Perché non esiste nessun piano formalizzato di eliminazione né un Piano Nazionale sulle epatiti – a livello nazionale e a livello regionale. L’epatite C non è più una priorità e non si investe un centesimo (a parte acquistare i farmaci) per organizzare un minimo di struttura operativa a livello regionale. Perché, ora, i pazienti vanno cercati dal medico di famiglia, nelle carceri, nelle strutture per chi abusa di droghe o alcol, e in altri diversi microbacini dove la prevalenza di infezione è più elevata della media generale.
Solo Veneto e Sicilia si stanno dando da fare e in maniera organizzata per costruire quei percorsi (micro e macro PDTA) indispensabili a indirizzare i pazienti dai bacini di provenienza verso le strutture ospedaliere autorizzate a curare con i nuovi farmaci.
Va ricordato peraltro che nel 2017 non sono stati utilizzati 356 milioni di euro del fondo farmaci innovativi non oncologici, e quindi restituiti al fondo indistinto (cioè risorse che si spartiranno le regioni per utilizzarli a loro piacimento (o comunque non sull’epatite C). Pochi giorni fa la destinazione di quelle risorse è stata chiarita: pagare stipendi e rinnovi contrattuali dei medici. Alla faccia della strategia di eliminazione HCV elaborata dall’OMS alla quale l’Italia mi risulta abbia aderito. Ecco, in questo attuale scenario ci viene facile prevedere che tra poco le strutture ospedaliere si contenderanno i pochi pazienti rimasti nelle strutture, mentre nei pazienti non ancora indirizzati (spesso pazienti già fragili) la malattia evolverà verso le forme più severe: cirrosi e tumore del fegato.
Un caso ci è già stato segnalato: una persona con problemi di dipendenza si è presentato in ospedale con un tumore del fegato, perché nessuno gli aveva mai parlato dei farmaci innovativi che lo avrebbero potuto salvare.
Per noi, come Associazione di pazienti, è intollerabile sapere che esistono farmaci in grado di salvare la vita delle persone, ma una parte di essa morirà solo perché l’epatite C è sparita dall’agenda politica.

Come immagina l’Associazione EpaC tra 5 anni?

La prima cosa che mi viene in mente è la chiusura dell’associazione per totale mancanza di lavoro, ergo quasi tutti i pazienti con epatite C curati.
Ma non sarà così. Provando a fare gli ottimisti possiamo ipotizzare che il capitolo HCV sarà alle battute finali, ma ci sono novità molto interessanti per la cura della NASH, più comunemente conosciuto come “fegato grasso” che ormai sta diventando una delle principali cause di trapianto di fegato… e poi la speranza delle staminali… insomma il lavoro non mancherà!

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