L’adenoma ipofisario è un tumore quasi sempre benigno, che origina dall’ipofisi, o ghiandola pituitaria, situata alla base del cranio e collegata con una parte del cervello chiamata ipotalamo.
L’ipofisi garantisce il legame tra l’attività cerebrale ed il sistema endocrino per la produzione di ormoni e a sua volta ne produce alcuni che influenzano l’attività di altre ghiandole come tiroide, surreni e gonadi (ovaie e testicoli) denominate “ghiandole bersaglio”.
L’ormone della crescita, prodotto anch’esso dall’ipofisi, regola lo sviluppo e alcuni metabolismi, mentre la prolattina permette l’allattamento.
L’adenoma ipofisario costituisce il 15 per cento di tutti i tumori intracranici, ma è comunque una patologia poco frequente (70-100 casi per 100.000 individui). È generalmente benigno, ma la sua diagnosi è tutt’altro che semplice a causa di una sintomatologia che varia in base al tipo di ormoni che secerne.
Insanitas ha intervistato il prof. Salvo Cannavò (nella foto), Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Messina e direttore dell’omonima UOC del Policlinico Universitario Martino, nonché coordinatore del gruppo multidisciplinare che gestisce il PDTA (percorso diagnostico-terapeutico assistenziale) “tumori ipofisari” della medesima azienda ospedaliera universitaria e responsabile nazionale della sezione delle malattie ipotalamo-ipofisarie della Società Italiana di Endocrinologia.
Professor Cannavò, cosa sono gli adenomi ipofisari?
«Si tratta di tumori benigni, per lo più di pochi millimetri, che si sviluppano da una ghiandola chiamata ipofisi, che è posizionata alla base della scatola cranica, pochi centimetri posteriormente agli occhi, e che possono secernere eccessive quantità di uno o più ormoni che la ghiandola normalmente già produce, causando quadri clinici caratteristici, come l’acromegalia o la malattia di Cushing. Quando la loro dimensione aumenta possono causare cefalea e un caratteristico restringimento del campo visivo».
Questi tumori sono sempre benigni?
«I tumori ipofisari colpiscono poco meno di una persona su 1000 e sono di regola benigni. Crescono molto lentamente, anche se a volte diventano invasivi e più aggressivi. Solo eccezionalmente si trasformano in carcinomi e metastatizzano. Tuttavia, le conseguenze sulla salute possono essere molto gravi indipendentemente dalla crescita e dalla trasformazione maligna, per cui è necessario che i pazienti che ne sono affetti siano curati da endocrinologi con reale esperienza nello specifico campo e in strutture che siano in grado di offrire percorsi diagnostico-terapeutici, i così detti PDTA, completi e multidisciplinari».
Il vostro PDTA ha ottenuto la certificazione di qualità UNI EN ISO 9001:2015. Perché un percorso dedicato?
«La diagnosi e la cura dei tumori ipofisari richiede la collaborazione non solo fra endocrinologi, neuroradiologi e neurochirurghi, che sono gli specialisti più frequentemente coinvolti, ma anche con molti altri specialisti. Il nostro PDTA è appunto il risultato del lavoro svolto da oltre 30 specialisti che operano in 13 differenti Unità Operative del nostro Policlinico Universitario e che negli ultimi decenni hanno acquisito una specifica esperienza nella diagnosi e cura di queste malattie».
I tumori ipofisari si manifestano soprattutto nell’età adulta e avanzata
«Gli adenomi ipofisari sono diagnosticati a tutte le età, con un picco nei giovani adulti. A causa di una sintomatologia inizialmente sfumata e subdola, tuttavia, la diagnosi può pervenire con incredibile ritardo, anche di molti anni o addirittura di decenni. In moltissimi casi, inoltre, veri o presunti adenomi ipofisari, che non causano specifici sintomi, sono diagnosticati casualmente, quando ci si sottopone a risonanza magnetica o TAC del cranio per le ragioni più disparate. A volte questi tumori, diagnosticati incidentalmente, non rappresentano un reale pericolo per la salute e il corretto percorso diagnostico è fondamentale per evitare sovradiagnosi e sovratrattamenti».
Gli adenomi ipofisari si suddividono in due grandi gruppi non funzionanti e funzionanti…
«I primi causano solo disturbi del campo visivo, mal di testa o carenze ormonali, perché danneggiano la ghiandola ipofisaria. Negli adenomi funzionanti, invece, le cellule tumorali producono anche ormoni in eccesso. Nella maggior parte dei casi i tumori secernono prolattina, che determina una secrezione lattescente o trasparente dai capezzoli e alterazioni del ciclo mestruale nella donna o impotenza e infertilità nell’uomo. Meno frequenti sono i tumori che producono GH (ormone della crescita), causando una malattia nota con il nome di acromegalia, e quelli che producono ACTH (ormone che stimola le ghiandole surrenali) e conseguente aumento del cortisolo, condizione definita malattia di Cushing dal nome del neurochirurgo che per primo l’ha descritta all’inizio del secolo scorso».
La diagnosi del tumore dell’ipofisi appare dunque complessa. Quale è quindi il primo passo da fare?
«Ridurre il ritardo diagnostico è un obiettivo prioritario. La valutazione endocrinologica e gli esami ormonali sono il primo passo, mentre la RMN (risonanza magnetica) dell’ipofisi deve essere eseguita successivamente e solo se vi è un fondato sospetto. Infatti, artefatti e false immagini possono trarre in inganno e far porre diagnosi inesistenti. È importante evitare esami inutili. Proprio per questo motivo, è fondamentale l’esperienza degli specialisti».
Quali trattamenti sono oggi disponibili?
«I prolattinomi richiedono di solito solo la terapia medica. Il farmaco che si utilizza per curarli è sufficientemente sicuro ed efficace. Negli altri tipi di tumore può essere necessario un intervento chirurgico che permette l’asportazione del tumore per via endoscopica, attraverso una narice. Si tratta di interventi molto poco invasivi, che però devono essere eseguiti da neurochirurghi con specifica esperienza. In alcuni casi può essere utile la radiochirurgia mediante gamma-knife o cyber-knife (tecniche di radiochirurgia stereotassica). Non esistono controindicazioni assolute per la gravidanza e l’allattamento».
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