by | Feb 28, 2023 | News
Il primo segretario donna del Partito Democratico, vincitrice delle primarie contro Stefano Bonaccini, sostiene di puntare al rilancio del Ssn. Vediamo come.
Nella sua campagna per le primarie la neo-segretaria del Pd, Elly Schlein, ha insistito molto sulla sanità, a suo dire “sottofinanziata” e vittima di un progressivo squilibrio tra pubblico e privato, e tra Stato e Regioni. Schlein ritiene che sia necessario sostenere maggiormente il Sistema sanitario nazionale, in termini di personale e risorse economiche, con un ruolo più forte da parte dello Stato, evitando che ci siano “cittadini di serie A e di serie B”. E auspica “una sanità sempre più territoriale e domiciliare”. Vediamo, nel dettaglio, cosa proponeva con la sua mozione congressuale “Parte da Noi”.
Sanità pubblica e universalistica – “Un nuovo contratto sociale vuol dire lottare per un grande investimento nella sanità pubblica universalistica, difenderla dagli attacchi di chi la vuole tagliare e privatizzare. Il Servizio sanitario nazionale è stato un presidio fondamentale nella pandemia, ma oggi è a rischio. Deficit strutturali e gestionali. Risorse finanziarie insufficienti. Carenza di medici e personale infermieristico. Oggi, in Italia, milioni di persone devono fare i conti ogni giorno con liste di attesa infinite. Hanno difficoltà enormi ad accedere ai medici di famiglia e ai pediatri. Per curarsi, spesso sono costrette ad andare in un’altra regione o a rivolgersi alla sanità privata, se possono permetterselo. Non è giustizia dover aspettare 200 giorni per una mammografia”.
Per una sanità di prossimità – “L’esperienza drammatica della pandemia dovrebbe aver insegnato che non basta la sanità degli ospedali nelle città, ma serve una sanità di prossimità, sempre più territoriale, domiciliare. Una visione nuova che avvicini la risposta a dove le persone esprimono il bisogno di cura. Se il diritto alla salute dipende troppo da quanto dista la propria casa dall’ospedale di un centro urbano, lo si percepirà come un diritto a metà. Grazie agli investimenti del Pnrr si potrà rendere capillare la presenza di case della comunità, ma servono risorse e formazione per assicurare che al loro interno operatrici e operatori sanitari, sociali, medici di medicina generale e pediatri, psicologi e saperi del terzo settore possano lavorare in sinergia, come equipe multidiscilpinari in grado di assicurare una presa in carico più piena dei bisogni delle persone”.
Stop al tetto di spesa per il personale – “Dobbiamo investire di più sul settore pubblico, allineando gli stanziamenti per il fondo sanitario nazionale con la media europea, per ammodernare gli ospedali, potenziare l’offerta diagnostica e valorizzare i professionisti della sanità, superando i tetti alla spesa del personale. Aumentare i posti di specializzazione e l’offerta didattica delle facoltà di medicina. Investire sull’assistenza domiciliare integrata per le persone anziane e non autosufficienti, sui presidi sociosanitari territoriali per la salute mentale e le tossicodipendenze”.
Salute mentale – “Sulla salute mentale occorre un salto di qualità in termini di risorse, di presenza di personale e di formazione, perché negli anni della pandemia i fenomeni di disagio sono aumentati, anche tra le fasce più giovani, a cui va dedicato più supporto psicologico, a partire dalle scuole. E’ necessario puntare molto di più sulla prevenzione per evitare sofferenze e anche maggiori costi”.
Revisione degli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale – “Si deve lavorare in sede europea perché i farmaci e le terapie per contrastare i virus, affrontare le malattie rare, utilizzare le nuove conoscenze in campo genetico siano non solo ricercati, ma sviluppati da un’infrastruttura pubblica ispirata a criteri di open science e governata da obiettivi di utilità sociale. Dobbiamo batterci per la revisione degli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale, per accrescere l’accesso e la condivisione della conoscenza, per tracciare il confine tra il giusto profitto e le rendite ingiustificate, correggendo gli accordi sbilanciati e trovando un nuovo equilibrio fra i diritti di proprietà intellettuale e l’interesse generale della conoscenza come bene comune, specie se in gioco c’è la sopravvivenza, come per i vaccini e i farmaci salvavita”.
Redazione Nurse Times
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Elly Schlein e la sanità: le proposte della neo-segretaria Pd
Testamento biologico, solo lo 0,4% degli italiani lo conosce: le risposte alle domande più frequenti
Evento ECM a Bari: “La formazione e gli infermieri nell’università”. Diretta streaming e interviste video a cura di Nurse Times
Tumori, ecco la top ten dei centri per numero di interventi
Quanti infermieri mancano in Italia?
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by | Feb 28, 2023 | News
Di seguito un approfondimento sul tema per conto dell’Associazione Luca Coscioni. Il dottor Mario Riccio, medico di Welby e di Mario/Federco Carboni, primo italiano a ricorrere al suicidio assistito, ha risposto per una settimana alle domande giunte al Numero Bianco sul fine vita. Un diritto garantito per legge, ma mai pubblicizzato dal ministero della Salute.
A cinque anni dall’entrata in vigore della Legge 219 del 2017 sul testamento biologico, come scoperto da un’indagine interna condotta dall’Associazione Luca Coscioni, solo lo 0,4% degli italiani (185.500) è a conoscenza dello strumento e ha depositato le proprie DAT. Un vuoto determinato innanzitutto dal fatto che tale diritto civile fondamentale non è mai stato reso noto alla popolazione attraverso un’adeguata campagna informativa istituzionale, ma anche dalla mancata disponibilità di materiale esplicativo presso medici di base, cliniche e ospedali.
Così l’Associazione Luca Coscioni, fortemente attiva nel percorso che portò alla legge, in tema di fine vita si è nuovamente sostituita allo stato lanciando una campagna attraverso i propri strumenti di comunicazione, azione divulgativa suddivisa in due azioni principali: la creazione e diffusione del video “Maramiao perché sei morto – Il biotestamento spiegato agli adulti”, narrato da Giobbe Covatta e a supporto la consulenza gratuita offerta dal dottor Mario Riccio attraverso la linea telefonica del Numero Bianco sul fine vita (06 9931 3409), un servizio coordinato da Valeria Imbrogno, compagna di Dj Fabo, che ogni giorno risponde grazie a un team di volontari a decine di domande su DAT, cure palliative, suicidio assistito.
Riccio, noto all’opinione pubblica per esser stato il medico che staccò la spina a Piergiorgio Welby e curò la parte tecnica del primo suicidio assistito in Italia, quello di Federico Carboni, per una settimana in via straordinaria ha risposto alle domande che hanno evidenziato la scarsa informazione degli italiani sul tema.
“Il contatto diretto con gli utenti – commenta il medico al termine dell’esperienza – ha mostrato molto interesse sugli aspetti pratici-clinici applicativo delle DAT, informazioni ritenute non disponibili o facilmente reperibili. In particolare gli utenti temono il rischio di trovarsi non più in grado di governare su se stessi, in una condizione magari ancora capaci di intendere e volere, ma non più capaci di esprimersi o di totale incapacità. In tale condizione la prima preoccupazione emersa è quella di non poter essere sedati e quindi di trovarsi in una condizione di dolore terminale non gestito o mal gestito. Altro motivo di interesse è stata la possibilità dell’interruzione delle terapie, con domande specifiche su alimentazione artificiale, ventilazione e altre terapie, ma anche per il ruolo del fiduciari, come indicarlo, i suoi limiti. Infine alcuni hanno domandato se fosse possibile inserire richieste di morte medicalmente assistita in una DAT, ma gli è stato chiarito che questo non è possibile”.
COSA CHIEDONO GLI ITALIANI SULLE DAT
Come garantire l’esecutività delle proprie volontà – La legge sulle DAT garantisce che i sanitari applichino quanto disposto dal paziente, anche tramite in confronto diretto con il fiduciario che il paziente ha indicato.
Rianimazione cardio polmonare – E’ l’insieme delle manovre invasive messe in atto nel tentativo di far ripartire la funzione cardiaca e polmonare. Tra queste ci sono il massaggio cardiaco, l’intubazione orotracheale, l’utilizzo di farmaci cardioattivi.
Chi è il fiduciario: nomina e ruolo – Il fiduciario è la persona che il soggetto indica quale suo rappresentante al fine che le sue volontà siano messe in pratica, anche qualora dovesse non essere più in grado di esprimersi.
Sedazione palliativa continua profonda – La sedazione palliativa continua profonda è una pratica – vera novità contenuta nella legge delle DAT- che garantisce al paziente che si trova in condizioni terminali e completamente sedato di abolire completamente il dolore. Tale condizione si raggiunge a mezzo di infusione di farmaci sedativi e solitamente si accompagna alla sospensione di ogni terapia accessoria.
PEG – Acronimo (gastrostomia endoscopica percutanea) che indica la manovra chirurgica con la quale si pone un sondino, per alimentare il paziente, direttamente nello stomaco attraverso la parete addominale. Serve a mantenere permanente tale via di accesso ed evitare le complicanze del sondino per via nasofaringea.
Tracheotomia sostanzialmente l’analogo della PEG, ma riferito alle vie aeree. Permette,m tramite l’inserimento chirurgico di una cannula direttamente nella trachea, di portare l’ossigeno ai polmoni sia attraverso l’atto respiratorio spontaneo che con un collegamento a un ventilatore meccanico. Sia la PEG che la tracheotomia si rendono necessarie nelle fasi avanzate di molte condizioni cliniche, tra cui le malattie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica e la sclerosi multipla.
Redazione Nurse Times
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Elly Schlein e la sanità: le proposte della neo-segretaria Pd
Testamento biologico, solo lo 0,4% degli italiani lo conosce: le risposte alle domande più frequenti
Evento ECM a Bari: “La formazione e gli infermieri nell’università”. Diretta streaming e interviste video a cura di Nurse Times
Tumori, ecco la top ten dei centri per numero di interventi
Quanti infermieri mancano in Italia?
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by | Feb 28, 2023 | News
Si terrà a Bari venerdì 3 marzo nella prestigiosa cornice barese di Villa Romanazzi Carducci
L’interessante convegno, organizzato dagli Ordini delle professioni infermieristiche di Bari, Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Lecce e Taranto, richiama importanti realtà del mondo accademico italiano.
Presenti tra gli autorevoli relatori:
prof. Antonio Felice Uricchio. Presidente Anvur;
Valerio Dimonte, Professore ordinario MED/45 e Presidente CdL in infermieristica UNITO,
Paola Ferri, Professore associato MED 45 UNIMO;
Dott. Angelo Mastrillo, Segretario della Conferenza Nazionale Corsi di laurea delle professioni sanitarie.
Il mondo accademico si incontra venerdì 3 marzo presso la Sala Scuderia di Villa Romanazzi Carducci, a Bari.
Il convegno diventa un momento di confronto sulla formazione degli infermieri. Verranno analizzati alcuni benchmark per misurare e validare la qualità dell’offerta formativa nelle università pugliesi.
Gli interessati potranno seguirlo in diretta streaming sulle pagine Facebook degli Ordini promotori, nonché su Nursetimes.org, pagina Facebook https://www.facebook.com/NurseTimes. NT .
La nostra testata realizzerà inoltre interviste video con alcuni dei prestigiosi ospiti presenti.
Razionale
La recente indagine promossa dalla Fnopi con il programma “Stati generali”, nell’ambito della formazione accademica dell’infermiere, ha confermato la sussistenza di “allarmi” e di “non conformità” del sistema universitario in tutto il territorio nazionale. L’indagine racconta di rilevanti diversità applicative degli ordinamenti didattici da parte delle università italiane che hanno attivato il corso di laurea in Infermieristica e della laurea magistrale.
Sotto la lente di ingrandimento, con le relative incongruenze, in particolare:
i compiti didattici e i parametri organizzativi e strutturali, per lo più non conformi all’ordinamento didattico e ai requisiti di accreditamento definiti dall’Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca;
il conferimento di incarichi di insegnamento nell’area disciplinare infermieristica e non a professionisti con curriculum inadeguato alla disciplina di riferimento;
la mancata valorizzazione del ruolo dei coordinatori didattici, dei tutor clinici e degli assistenti di tirocinio, quali protagonisti infungibili e indispensabili per l’accreditamento del corso di laurea.
Obiettivi
Partendo dagli elementi identificativi che l’indagine della Fnopi ha messo in chiaro, l’evento si propone di analizzare nel dettaglio la situazione delle università pugliesi, individuando i principali interventi strategici utili a migliorare i percorsi formativi, di base e specialistici, sottolineando gli ambiti di riferimento delle risorse strutturali e professionali. Gli infermieri vogliono più infermieri tra i formatori accreditati, più possibilità di lavorare nella ricerca accademica, più qualità e più riconoscimenti rispetto alle diverse specializzazioni e ai percorsi di studio.
Clicca QUI per conoscere il programma e l’elenco dei relatori.
Redazione Nurse Times
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by | Feb 28, 2023 | News
La nuova mappa aggiornata “Dove mi curo?” aiuta i pazienti e le loro famiglie a orientarsi tra le strutture sanitarie che effettuano interventi di chirurgia oncologica.
Tumori: un intervento su quattro eseguito in strutture sotto sogliaIn Italia più di un intervento di chirurgia oncologica su quattro (pari al 26%) avviene ancora in strutture che non raggiungono i cosiddetti volumi soglia, cioè in cliniche in cui il numero di interventi eseguito è troppo basso. Tuttavia in cinque anni le strutture “sopra soglia” sono passate da 143.469 del 2017 a 148.491, segnando un aumento del 3,5%. Ad aiutare i pazienti e le loro famiglie a orientarsi tra le strutture sanitarie che effettuano interventi di chirurgia oncologica è la nuova mappa aggiornata “Dove mi curo?”, presentata da Ropi (Rete Oncologica Pazienti Italia) al ministero della Salute ed elaborata partendo dai dati del Programma Nazionale Esiti 2022 di Agenas.
Si tratta di una fotografia aggiornata delle strutture sanitarie italiane dove vengono eseguiti interventi chirurgici di 17 diversi tipi di tumore. L’obiettivo del progetto è quello di offrire ai pazienti una modalità semplificata e più consapevole per conoscere i centri a più alto volume di attività chirurgica oncologica nelle Regioni italiane. In cinque anni, dal 2017 al 2021, rileva la mappa di Ropi, si è comunque registrata una riduzione dell’11% dei luoghi di cura in cui si esegue un volume sotto soglia di operazioni, e al Nord si supera la soglia per più patologie oncologiche che al Sud. Per il tumore della mammella, ad esempio, il valore soglia è di 150 interventi l’anno. Significa che al di sotto di questo numero il centro non è in grado di offrire le medesime sicurezza e qualità degli esiti.
“La scelta del luogo di cura – spiega Stefania Gori, Presidente Ropi e di Aigom (Associazione Italiana Gruppi Oncologici Multidisciplinari) – può fare la differenza nel trattamento dei tumori. I dati confermano una forte associazione tra volumi di attività chirurgica più alti e i migliori esiti delle cure”. Importante sottolineare, rileva Fabrizio Nicolis, consigliere Ropi e coordinatore del progetto, è anche che “le strutture ‘sotto soglia’ sono passate da 5.670 nel 2017 a 5.018 nel 2021.Di conseguenza la nuova mappa mostra una buona notizia: un aumento della percentuale di interventi eseguiti in strutture che superano i volumi soglia: dal 71% nel 2017 al 74% nel 2021”. La mappa è online sul sito di Ropi, www.reteoncologicaropi.it.
Solo tre Regioni del Sud in top ten dei luoghi di curaNella mappa aggiornata ‘Dove mi curo?’ forte resta il gap regionale: è nelle Regioni settentrionali, infatti, che si garantisce il superamento dei volumi soglia per gli interventi su tutte, o quasi tutte, le 17 patologie oncologiche considerate. Al Sud, invece, solo 3 Regioni si avvicinano a coprire tutte le principali patologie nella top ten nazionale: Sicilia, Campania e Puglia. In particolare, la mappa della Ropi (Rete Oncologica Pazienti Italia) segnala per il tumore alla mammella l’Humanitas di Misterbianco, Catania (8/o posto con 739 interventi), nel polmone il Monaldi di Napoli (10/o posto con 281 interventi), nel colon-retto il Policlinico di Bari e l’Ospedale Panico di Tricase, Lecce (4/o e 9/o posto con 301 e 179 interventi), nella prostata l’Ospedale Miulli di Acquaviva D.F., Bari (6/o posto con 305 interventi).
Si evidenzia, nella classifica relativa alla chirurgia del tumore dello stomaco, l’assenza di strutture del Sud nelle prime 10 posizioni. Questo, afferma Fabrizio Nicolis, consigliere Ropi e coordinatore del progetto, “non significa affatto che al Sud non ci siano per tutte le patologie centri che operano oltre la soglia prevista. Ma resta un dato indicativo del permanere di una differenza rilevante a livello regionale”. Nella nuova mappa sono evidenti anche gli effetti dell’emergenza Covid-19. Nel 2020 infatti si segnala un drastico calo degli interventi chirurgici oncologici: dalle 204.380 operazioni nel 2019 si è passati a 186.122 interventi nel 2020. Nel 2021 il numero è in ripresa con 199.871 interventi totali.
Esperti: “Interventi in centri ad alto volume attività” Arrivare ad una centralizzazione degli interventi per le patologie oncologiche nei centri che registrano un alto volume di attività. E’ l’auspicio degli specialisti. Attualmente, spiega Franco Roviello, presidente della Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO), “i volumi definiscono il percorso delle neoplasie maligne della mammella che ha determinato un accorpamento dei centri con volumi inferiori e il conseguente miglioramento dello standard di cura. SICO auspica che progressivamente, in accordo con tutte le società scientifiche e con le organizzazioni sanitarie regionali, si arrivi ad una centralizzazione anche delle altre patologie oncologiche il cui trattamento è molto dipendente dall’esperienza e dalla capacita del chirurgo e del centro”. Il volume, infatti, è “solo un pezzo del grande puzzle della sicurezza chirurgica – aggiunge Massimo Carlini, presidente della Società Italiana di Chirurgia (SIC) -. La diminuzione della mortalità dipende anche dalla qualità delle cure post operatorie, che è più correlata a caratteristiche specifiche dell’ospedale”.
La mappa di Ropi è accolta con favore anche dalle associazioni di pazienti, che la considerano una fonte importante nella ricerca dei centri migliori a cui rivolgersi. “Poter contare su un ‘luogo’ dove si ha la certezza di essere operati da mani esperte spesso fa la differenza tra vivere e morire – commenta Claudia Santangelo, presidente dell’Associazione ‘Vivere senza stomaco… si può!’ -. Per l’associazione che rappresento questo progetto è il punto di riferimento”. “Giornate come questa sono estremamente importanti per noi pazienti perché ci permettono di conoscere le mappe dei migliori centri di chirurgia oncologica – conferma Giorgia Capacci, presidente dell’Associazione Oltre il nastro rosa -. Conoscere ad esempio i centri dove le ricostruzioni mammarie hanno liste di attesa più brevi, dove la chirurgia plastica è d’eccellenza, dove si tiene in grande considerazione l’impatto psicologico di una rimozione di seno può davvero fare la differenza nel risultato del percorso per una donna”.
Schillaci: “Mappa luoghi cura è segnale di trasparenza”“Oggi si lancia un forte segnale di trasparenza e informazione verso i cittadini”. Lo ha affermato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, intervenuto alla presentazione al ministero della mappa aggiornata ‘Dove mi curo?’.”Dalla mappa presentata da Ropi, ha sottolineato Schillaci, “emergono dati positivi, come la crescita delle strutture con volumi di attività chirurgica sopra soglia, oltre i 150 interventi l’anno, indicatore significativo che la letteratura scientifica associa ai migliori esiti ed emerge, al Sud, un potenziale molto forte di professionalità e competenze, su cui invece è ancora necessario investire, per garantire a ogni cittadino, in qualsiasi parte d’Italia, la stessa facilità di accesso e qualità delle cure, in termini di efficacia, efficienza, appropriatezza”.
L’effettiva erogazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) su tutto il territorio nazionale, ha aggiunto, “è un impegno prioritario, che passa attraverso tutti gli strumenti di pianificazione e indirizzo che stiamo mettendo in campo, a cominciare dal Piano Oncologico Nazionale, finalizzato a migliorare il percorso complessivo di lotta ai tumori”. Soddisfazione per l’analisi aggiornata di Ropi è stata espressa dal direttore generale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) Domenico Mantoan, il quale ha anche ricordato che presso l’Agenas è in funzione l’Osservatorio per il Monitoraggio delle Reti Oncologiche Regionali, che ha la finalità di migliorare la qualità delle cure e dell’assistenza in ambito oncologico, attraverso la realizzazione di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione oltre che di implementazione delle Reti.
LA SCHEDA. La top ten dei centri per numero di interventi Sono quattro le Regioni in testa nella top ten italiana dei centri che registrano il maggiore volume di interventi di chirurgia oncologica: Lombardia, Lazio, Toscana ed Emilia Romagna. Solo 3, invece, le Regioni del Sud ad entrare nei primi 10 posti e si tratta di Sicilia, Puglia e Campania. Questa la classifica dei centri elaborata dalla Rete oncologica pazienti Italia (Ropi) sulla base del numero di interventi effettuato in un anno per alcune delle principali neoplasie:
TUMORE DELLA MAMMELLA (soglia minima 150 interventi l’anno) 1. Istituto europeo di oncologia (Milano): 2716 interventi l’anno 2. Policlinico universitario Gemelli (Roma): 1208 3. Istituto Humanitas (Rozzano): 1031 4. Istituto nazionale tumori (Milano): 887 5. Azienda ospedaliera Careggi (Firenze): 846 6. Ospedale Bellaria (Bologna): 796 7. Ospedale S.Anna (Torino): 768 8. Humanitas Istituto Clinico Catanese (Misterbianco): 739 9. Istituto oncologico veneto (Padova): 722 10. Azienda ospedaliero universitaria pisana (Pisa): 715
TUMORE DEL POLMONE (soglia minima 50 interventi l’anno) 1. Azienda ospedaliera S. S. Andrea (Roma): 504 interventi l’anno 2. Istituto europeo di oncologia (Milano): 489 3. Policlinico universitario Gemelli (Roma): 373 4. Azienda ospedaliera Careggi (Firenze): 369 5. Azienda ospedale – università Padova (Padova): 361 6. Istituto Humanitas (Rozzano): 349 7. Istituto nazionale tumori (Milano): 332 8. Irccs Policlinico S. Orsola (Bologna): 316 9. Azienda ospedaliero universitaria pisana (Pisa): 316 10. Ospedale Monaldi (Napoli): 281
TUMORE DELLO STOMACO (soglia minima 20 interventi l’anno) 1. Policlinico universitario Gemelli (Roma): 117 interventi l’anno 2. Irccs San Raffaele (Milano): 91 3. Ospedale San Giovanni Battista Molinette (Torino): 85 4. Azienda ospedaliero universitaria Verona Borgo Trento (Verona): 83 5. Azienda ospedaliero universitaria pisana (Pisa): 75 6. Irccs Policlinico S. Orsola (Bologna): 68 7. Istituto europeo di oncologia (Milano): 56 8. Azienda ospedaliero universitaria Careggi (Firenze): 56 9. Ospedale Morgagni Pierantoni (Forlì): 50 10. Ospedale della Misericordia (Grosseto): 50
TUMORE DEL COLON (soglia minima 50 interventi l’anno) 1. Policlinico universitario Gemelli (Roma): 446 2. Irccs Policlinico S. Orsola (Bologna): 318 3. Azienda ospedaliero universitaria pisana (Pisa): 301 4. Consorziale Policlinico Bari (Bari): 241 5. Azienda Ospedale – Università Padova (Padova): 222 6. Azienda ospedaliera Careggi (Firenze): 198 7. Istituto nazionale tumori (Milano): 190 8. Ospedale policlinico San Martino (Genova): 183 9. Ospedale regionale EE G. Panico (Tricase-Lecce): 179 10. Ospedale San Giovanni Battista Molinette (Torino): 177
TUMORE DELLA PROSTATA (soglia minima 50 interventi l’anno) 1. Azienda ospedaliera Careggi (Firenze): 621 interventi l’anno 2. Istituti europeo di oncologia (Milano): 505 3. Casa di cura Pederzoli (Peschiera Del Garda): 367 4. Irccs San Raffaele (Milano): 354 5. Irccs Policlinico S. Orsola (Bologna): 321 6. Ospedale regionale EE Miulli (Acquaviva Delle Fonti – Bari): 305 7. Azienda ospedaliero universitaria S. Luigi (Orbassano – Torino): 271 8. Istituto Humanitas (Rozzano): 255 9. Ifo-Istituto Regina Elena (Roma): 249 10. Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (Negrar – VR): 248.
Redazione Nurse Times
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Evento ECM a Bari: “La formazione e gli infermieri nell’università”. Diretta streaming e interviste video a cura di Nurse Times
Tumori, ecco la top ten dei centri per numero di interventi
Quanti infermieri mancano in Italia?
L’emogasanalisi da prelievo di sangue capillare nel neonato
San Giovanni Rotondo (Foggia), niente rinnovo del contratto per 35 infermieri e 45 oss: “Regione intervenga subito per aumentare badget”
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by | Feb 28, 2023 | News
Un’analisi dei dati relativi alla carenza di personale infermieristico nel nostro Paese.
Le dichiarazioni politiche riguardano la carenza di infermieri in Italia durante la pandemia di Covid-19. Alcuni politici sostengono che ci siano carenze di personale sanitario, in particolare di infermieri, e forniscono numeri per sostenere le loro affermazioni. Ad esempio, Carlo Calenda afferma che mancano 63mila infermieri in Italia, mentre Stefano Bonaccini sostiene che non ce ne siano abbastanza. Per verificare queste affermazioni, è necessario capire esattamente di quali numeri si parla e quali sono le fonti.
Quanti sono gli infermieri in Italia – Partendo da un dato di base, possiamo analizzare il numero di infermieri in Italia. Secondo la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), il numero di infermieri attivi iscritti all’albo in Italia è di circa 395mila. Di questi, 270mila sono dipendenti del Servizio sanitario nazionale (Ssn), 45mlila sono professionisti autonomi e 80mila lavorano per strutture private.
In base all’ultimo rapporto Health at a Glance: Europe 2022, pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), in collaborazione con la Commissione Europea, nel 2020 in Italia c’erano 6,3 infermieri ogni 1.000 abitanti, rispetto a una media di 8,3 negli altri Paesi dell’Unione Europea. All’interno del personale sanitario la proporzione era di 1,6 infermieri ogni medico in Italia, rispetto alla media europea di 2,2.
Quanti infermieri mancano in Italia – Nel corso degli anni molte associazioni di categoria e istituti hanno cercato di quantificare il numero di infermieri mancanti in Italia. Secondo la Fnopi, servirebbero circa 63.500 infermieri in più rispetto a quelli attuali, con 27mila infermieri mancanti al Nord, circa 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole. Il Censis, istituto di ricerca socio-economica, ha calcolato una carenza di 57mila unità nel personale infermieristico. La Fnopi ha spiegato che la stima dei 63mila infermieri mancanti è stata calcolata sulla base di diversi dati, tra cui quelli raccolti dall’Ocse nell’Health at a Glance 2021, il rapporto che valuta la situazione sanitaria dei 38 Paesi dell’organizzazione.
Anche la Corte dei Conti ha commentato il tema, esprimendosi sulla Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2022 (NADEF), approvata dal Governo Draghi lo scorso settembre. Secondo la Corte dei Conti, il personale infermieristico italiano è “pesantemente sottodimensionato” in molte aree del Paese, soprattutto se confrontato con la situazione in altri Stati europei. L’analisi prende in considerazione lo “standard internazionale 1:3 per il personale infermieristico”. Il che significa che per ogni medico attivo ci dovrebbero essere almeno tre infermieri attivi. Sulla base dei dati contenuti nell’Annuario Statistico dell’Istat, la Corte dei Conti ha calcolato una carenza di infermieri di circa 65mila unità nel 2020.
Tuttavia, è importante sottolineare che, quando si confrontano i dati a livello internazionale, si fa riferimento a sistemi sanitari molto diversi tra loro. Per esempio, la sanità italiana è molto diversa da quella degli Stati Uniti, dove il rapporto tra infermieri e popolazione è molto alto, ma non esiste un sistema sanitario pubblico universalistico, dove lo Stato copre gran parte delle cure mediche dei cittadini.
I fondi del Pnrr – In aggiunta alle carenze di personale infermieristico segnalate da diversi studi, anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede l’incremento del personale sanitario nei prossimi anni. La Missione 6 del Piano riguarda la riforma dell’assistenza sanitaria territoriale, in cui gli infermieri avranno un ruolo fondamentale nell’assistenza domiciliare e nei servizi di consultorio familiare, e soprattutto nella nuova figura dell’infermiere di famiglia e comunità. Quest’ultimo è descritto come il professionista di riferimento che collabora con gli altri professionisti presenti nella comunità. Il Pnrr richiede la presenza di almeno un infermiere di famiglia e comunità ogni 3mila abitanti. Secondo il Sole 24 ore, saranno necessarie circa 30mila nuove assunzioni di infermieri nei prossimi tre anni per soddisfare le aspettative del Piano.
Antonio Cennamo
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