by | Ott 1, 2022 | News
Ancora grattacapi per l’Opi Firenze Pistoia, presieduta da David Nucci che come ricorderete è subentrato a Danilo Massai
Questa volta a dimettersi sono quattro dei nove componenti della commissione d’albo di infermieri.Secondo indiscrezioni, le motivazioni della loro dimissione sarebbero dovute alla mancata condivisione della gestione dell’ordine dall’attuale presidente David Nucci.
Contrasti sulle scelte politiche fatte dallo stesso che non rispecchiano la volontà della maggior parte dei componenti dell’ordine degli infermieri in questione.
Ma quali sono i compiti delle commissioni d’albo?La legge 3/2018 che ha decretato la nascita degli ordini delle professioni infermieristiche ha previsto anche l’istituzione delle Commissioni d’albo per infermieri e infermieri pediatrici.
Secondo la legge 3/2018 le Commissioni d’Albo si occupano delle procedure di iscrizione dei nuovi infermieri, dei provvedimenti disciplinari, di una serie di funzioni gestionali e di supportare le altre istituzioni nello studio e l’attuazione di atti che riguardino la Professione.
Quali sono ora gli scenari che si andranno a delineare con queste dimissioni?
Certamente si andrà ad elezioni supplettive per assicurare la continuità dell’azione amministrativa dell’ente. In mancanza della commissione d’albo di infermieri, tutte le loro funzioni dovrebbero essere avocate al consiglio direttivo.
Insomma un’altra tegola da risolvere in casa opi.
Redazione Nurse Times
Opi Firenze Pistoia: la commissione d’albo infermieri perde 4 componenti
Tumore del pancreas, nascono a Brescia le linee guida europee sulla chirurgia mininvasiva
Dolore addominale: come capire se è appendicite
Autismo, studio svedese: “Nessun legame causale con le infezioni contratte dalla madre durante la gravidanza”
Oggi un infermiere potrebbe candidarsi a Ministro della Salute?
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by | Ott 1, 2022 | News
Si tratta di un importante passo avanti per rendere sempre più vincente l’approccio chirurgico.
Provenienti da tutto il mondo, i maggiori esperti in tecniche chirurgiche mininvasive sui tumori del pancreas si riuniscono a Brescia per un congresso scientifico di portata eccezionale, in cui saranno definite le prime linee guida europee, validate a livello internazionale.
Saranno conosciute con il nome di Linee guida di Brescia e sono il punto di arrivo di un lavoro durato oltre un anno, fortemente voluto dal professor Mohammad Abu Hilal, Chairman del Congresso EGUMIPS (First Internationally Validate European Guidelines Meeting on Minimally Invasive Pancreatic Surgery) e direttore dell’Unità operativa complessa di Chirurgia generale di Fondazione Poliambulanza, che ha coordinato il lavoro di 18 ricercatori e 70 esperti in centri d’eccellenza di tutto il mondo.
Si tratta di un importante passo avanti per rendere sempre più vincente l’approccio chirurgico a un tipo di tumore raro, ma molto aggressivo e difficile da combattere, che non mostra particolari sintomi iniziali e per questo viene scoperto in fase precoce solo nel 7% dei casi.
“Purtroppo i numeri sono in aumento – spiega Abu Hilal –. Solo pochi anni fa colpiva quattro persone ogni 100mila, ma oggi in Italia questa incidenza arriva a 11 pazienti su 100mila con 14.500 diagnosi l’anno, 12.500 con esito infausto. Si calcola che la forma più diffusa, l’adenocarcinoma del pancreas, nel 2030 sarà la seconda causa di morte tra tutti i tipi di tumore. Tra i fattori di rischio al momento noti, il fumo di sigaretta e il consumo di alcol. Anni fa visitavamo prevalentemente persone tra i 70 e gli 80 anni, ora abbiamo anche pazienti più giovani”.
Prosegue l’esperto: “Il nostro impegno, con le Linee Guida di Brescia, sarà anche quello di scegliere i pazienti che possono essere trattati con maggiore speranza di successo, in quanto non tutti i tumori del pancreas sono operabili o adeguati alla chirurgia mininvasiva. Una volta selezionati i casi operabili con tecniche mininvasive, è importante che l’intervento avvenga in centri d’eccellenza. Sono orgoglioso di poter dare il nome di Brescia al risultato di un importante percorso scientifico, che certamente segnerà il futuro della medicina in questo settore”.
Il metodo utilizzato per definire queste linee guida, che contemplano sia tecniche laparoscopiche sia tecniche robotiche della chirurgia pancreatica, è del tutto simile a quello adottato per le Linee guida di Southampton, ora seguite in tutto il mondo per la chirurgia laparoscopica del fegato, un altro progetto condotto dal professor Abu Hilal, esperto internazionale anche nella chirurgia del fegato.
“Un evento significativo per la nostra città anche in previsione del prossimo anno, in cui Brescia, insieme a Bergamo, sarà Capitale della Cultura – afferma il professor Mario Taccolini, presidente di Fondazione Poliambulanza –. Siamo orgogliosi dell’eccellente lavoro svolto dal professor Abu Hilal, che nel nostro ospedale dirige l’Unità operativa complessa di Chirurgia generale, coordinando un team di specialisti e ricercatori dotati di tecnologie all’avanguardia nella lotta al cancro pancreatico”.
La presentazione dei contenuti delle linee guida è frutto di vari passaggi precedenti e di successive validazioni, l’ultima delle quali ha avuto luogo giovedì 28 settembre, nel Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia, con la partecipazione del sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, e del vicesindaco Laura Castelletti, che hanno dato il benvenuto della città e portato i saluti dell’amministrazione. Una giuria di super esperti ha approvato, infine, i risultati dell’ultima versione dei protocolli, validando definitivamente le linee guida.
“Ringraziamo tutti gli specialisti che hanno partecipato alla stesura di questo fondamentale documento rappresentato dalle Linee guida di Brescia, in particolare il coordinatore del progetto, il professor Abu Hilal – conclude il dottior Alessandro Triboldi, direttore generale di Fondazione Poliambulanza -. L’obiettivo che specialisti e ricercatori si sono posti è quello di potenziare sempre più le tecniche di chirurgia mininvasiva per offrire ai pazienti un decorso post-operatorio più breve, una diminuzione del rischio di complicanze e una qualità di vita più alta”.
Redazione Nurse Times
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by | Ott 1, 2022 | News
Ecco quali segnali possono indicare che il disturbo deriva da un’infiammazione dell’appendice.
Ancora non abbiamo una chiara comprensione dello scopo attuale dell’appendice nel nostro corpo, ma sappiamo che può infiammarsi e infettarsi, portando all’appendicite. Quest’ultima rappresenta la causa più comune di dolore addominale improvviso e intenso negli Stati Uniti. Più del 5% della popolazione svilupperà la condizione a un certo punto della vita.
Nella maggior parte dei casi l’appendicite è causata dal blocco dell’appendice, che porta a infiammazione e infezione. Quando si verifica questo blocco, spesso è estremamente doloroso e richiede immediata assistenza medica. In caso contrario, esiste il rischio di rottura dell’appendice, che può essere potenzialmente letale.
Ma ci sono molte altre cause di dolore addominale: da un virus intestinale a una semplice indigestione. Sapere quando il dolore addominale potrebbe essere dovuto ad appendicite è fondamentale per un trattamento efficace e tempestivo. Ecco tre segnali che possono indicare che il dolore addominale è appendicite.
1. Il dolore intenso si manifesta prima della nausea o del vomito – A differenza di altri tipi di dolore allo stomaco, l’intenso disagio causato dall’appendicite si manifesta quasi sempre prima della nausea o del vomito. In molti soggetti, in particolare neonati e bambini, il dolore può essere più diffuso in tutto il corpo. Il dolore può essere inferiore nelle persone anziane e nelle donne in gravidanza. Altri sintomi a cui prestare attenzione includono febbre e perdita di appetito.
2. Il dolore si sposta dall’ombelico al lato inferiore destro – Dopo alcune ore, la nausea in genere passa e il dolore si sposta nella parte inferiore destra dell’addome. Quest’area è sensibile al tatto quando un medico o qualcun altro la preme e il dolore può effettivamente aumentare dopo che la pressione è stata rilasciata.
3. Il dolore dura più di poche ore – Se il dolore dura più di cinque o sei ore, vale la pena recarsi da un operatore sanitario per escludere l’appendicite. In presenza di nausea, vomito o febbre, è opportuno recarsi al pronto soccorso. Se si tratta solo di dolore, chiamare un medico di base è un buon primo passo.
Diagnosi e trattamento dell’appendicite – Nella maggior parte dei casi il medico eseguirà una TC per confermare la diagnosi, ma in alcuni casi i sintomi saranno abbastanza chiari da consentire ai medici di procedere al trattamento in base alla descrizione del paziente. Tradizionalmente l’intervento chirurgico è raccomandato e generalmente avviene rapidamente, entro 24-48 ore dai sintomi. L’obiettivo è rimuovere l’appendice prima che si rompa e causi ulteriori danni.
La chirurgia è generalmente laparoscopica e non è un’operazione molto complessa. Tuttavia, dato che l’appendicite è più comune negli adolescenti e nei soggetti intorno ai 20 anni, è spesso la prima operazione principale a cui si sottopongono le persone e sono comprensibilmente nervose. Per la stragrande maggioranza dei pazienti, la procedura non avrà complicanze e vi sarà un rapido recupero. Non ci sono grossi problemi a vivere senza appendice: la maggior parte delle persone non ne sente mai la mancanza.
Recentemente c’è stato un maggiore interesse nel trattamento dell’appendicite con antibiotici piuttosto che con l’intervento chirurgico. Gran parte della ricerca sul tema è ancora in corso, ma uno studio ha scoperto che quasi un terzo dei pazienti che hanno ricevuto un trattamento antibiotico ha rimosso chirurgicamente l’appendice entro 90 giorni. Per i pazienti affetti da appendicite vale la pena parlare con un medico degli antibiotici, ma molti medici raccomandano comunque un intervento chirurgico nella maggior parte dei casi.
La cosa più importante da ricordare è che il dolore addominale prolungato non deve essere ignorato o tollerato. Se il dolore dura diverse ore, bisogna consultare un operatore sanitario per assicurarsi che non sia appendicite o qualcosa di peggio di un virus intestinale.
Redazione Nurse Times
Fonte: Manuale MSD
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E’ quanto sostengono i ricercatori del Karolinska Institute di Solna.
In passato la ricerca ha suggerito che i bambini nati da madri che hanno contratto l’influenza o un’altra infezione durante la gravidanza possono avere maggiori probabilità di avere l’autismo. Un nuovo studio, pubblicato di recente su The Lancet Psychiatry, ha però dimostrato che l’infezione potrebbe non essere la causa. “Non abbiamo trovato alcuna evidenza che suggerisca che le infezioni contratte dalle madri durante la gravidanza possano causare autismo nel bambino”, ha affermato l’autore Martin Brynge, dottorando presso il Dipartimento globale di Sanità pubblica del Karolinska Institute di Solna, in Svezia.
Per lo studio i ricercatori hanno esaminato il rischio di autismo nei fratelli quando la madre ha avuto un’infezione durante una gravidanza, ma non durante l’altra in più di 500mila bambini nati tra il 1987 e il 2010. Hanno inoltre esaminato il rischio di autismo nei bambini nati da madri a cui era stata diagnosticata un’infezione durante l’anno precedente la gravidanza.
Quando i ricercatori hanno confrontato i fratelli, quelli esposti a un’infezione durante la gravidanza non avevano più probabilità di sviluppare autismo rispetto ai fratelli o alle sorelle che non erano esposti. Inoltre le donne che avevano contratto un’infezione un anno prima di iniziare una gravidanza erano collegate a un rischio di autismo simile a quello delle infezioni durante la gravidanza, ma non al rischio di deficit intellettivo.
Nel complesso, questi risultati suggeriscono che probabilmente non sono le infezioni durante la gravidanza ad aumentare il rischio di autismo nei bambini. I ricercatori hanno invece affermato che le mamme dei bambini con autismo sembrano essere più suscettibili alle infezioni in generale, non solo durante la gravidanza. “La maggiore propensione alle infezioni in queste madri potrebbe essere causata da fattori genetici sconosciuti, che influenzano sia il rischio di autismo dei bambini sia la propensione delle loro madri alle infezioni”, ha affermato Brynge.
Lo studio comprendeva un’ampia gamma di infezioni e i risultati erano simili tra i tipi di infezione e i trimestri della gravidanza. La ricerca è stata condotta prima della pandemia globale di Covid-19. “Gli studi futuri dovrebbero indagare in modo specifico sui potenziali effetti del Covid-19, identificare eventuali potenziali fattori ambientali causali e modificabili che intervengono durante la gravidanza ed esaminare anche le cause dell’aumento dell’incidenza di infezioni tra madri di bambini con autismo”, ha affermato Brynge.
L’esperto ha osservato che lo studio non contraddice i legami ben consolidati tra alcune infezioni virali specifiche durante la gravidanza, come l’infezione da citomegalovirus (CMV) e la rosolia (morbillo tedesco), e il rischio di gravi condizioni dello sviluppo nei bambini. I ricercatori hanno inoltre verificato se le madri che avevano contratto un’infezione durante la gravidanza avessero maggiori probabilità di avere figli con deficit intellettivo misurato mediante test del QI, scoprendo che potrebbe esserci un piccolo aumento del rischio di deficit intellettivo in questi bambini.
“Questo studio sostiene una relazione causale diretta tra infezione materna durante la gravidanza e neurosviluppo difettoso nei bambini – spiega Melody Zeng, assistente universitaria di Immunologia all’Institute for Children’s Research presso la Weill Cornell Medicine di New York, non coinvolta nella ricerca –. Le condizioni di salute generali delle madri dovute a fattori genetici o fattori ambientali/alimentari potrebbe essere un fattore determinante più importante del rischio di autismo nella prole rispetto alle infezioni durante la gravidanza”.
È possibile che le donne più suscettibili alle infezioni abbiano maggiori probabilità di avere figli affetti da autismo, ha aggiunto Zeng. Tuttavia la valutazione è ancora in corso. Va da sè che “queste sono implicazioni, non prove definitive”.
Redazione Nurse Times
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Alla luce delle nuove elezioni politiche, della recente pandemia, (che a noi infermieri) ci ha resi più consapevoli delle potenzialità insite in questo profilo professionale, oggi ancora in molti ignorano l’evoluzione storico culturale dell’infermiere.
Infatti secondo i dati della FNOPI, il 79% dei cittadini sa che per diventare infermiere oggi occorre la laurea e il 53% sa che si tratta di una professione sanitaria “autonoma” e non più ausiliaria di quella medica. E’ opportuno chiarire soprattutto per i non addetti ai lavori cosa intendiamo per EVOLUZIONE STORICO CULTURALE DELL’INFERMIERE.
L’infermiere negli ultimi 20 anni ha seguito un percorso di evoluzione e consolidamento del profilo professionale, delle conoscenze e delle competenze.
Basti pensare:
– alla Legge 42/99 che sostituisce definitivamente l’obsoleta nomenclatura che definiva gli infermieri come “professione sanitaria ausiliaria” con “professione sanitaria”. Inoltre abrogava il mansionario del D.P.R 14 marzo 1974, N° 225.
– Il primo ordinamento didattico che sancisce il corso di diploma universitario in scienze infermieristiche viene recepito con il decreto ministeriale del 2 dicembre 1991: “Modificazioni dell’ordinamento didattico universitario relativamente al corso di diploma universitario in scienze infermieristiche”. Mentre con il decreto ministeriale 24 luglio 1996 si avvia il secondo ordinamento che cambia il nome del corso in “Diploma universitario per infermiere”.
– D.M. 509 del 3 novembre 1999 “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”, sancisce che il diploma universitario viene riqualificato in laurea triennale.
Le tappe del percorso formativo, saranno:
1. Diploma di laurea in Infermieristica (180 crediti formativi universitari);
2. Master universitario di I° (60 CFU);
3. Diploma di laurea specialistica in Scienze infermieristiche (120 CFU);
4. Master universitario di II° livello (60 CFU)
5. Dottorato di ricerca (3 anni);
– Conseguentemente nasce la Legge n. 251 del 2000, in cui si definiscono i titoli equipollenti al diploma di laurea come validi per l’accesso ai master infermieristici e ai corsi universitari formativi per accedere a funzioni di dirigenza infermieristica, ovvero la laurea specialistica.
Il Laureato Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche interviene con elevate competenze nei processi assistenziali, gestionali, formativi e di ricerca in uno degli ambiti pertinenti alle diverse professioni sanitarie.
Il piano di studi prevede tra il primo e secondo anno: a parte quelle disciplinari […] :
– Statistica, epidemiologia, programmazione dei servizi sanitari, igiene generale e applicata, statistica medica, medicina occupazionale, medicina interna, diritto del lavoro, economia aziendale, medicina legale, organizzazione aziendale, bioingegneria elettronica ed informatica.
Gli Sbocchi occupazionali previsti sono: la dirigenza sanitaria nelle strutture sanitarie semplici e complesse, il coordinamento di Dipartimenti o strutture, l’insegnamento universitario, la formazione permanente, ricerca presso istituzioni pubbliche o private, incarico di funzione nella gestione dei processi assistenziali nelle Strutture Sanitarie.
In sintesi un’infermiere, con la formazione, i titoli e un percorso curriculare che includa un’esperienza maturata presso strutture sanitarie semplici e complesse, che abbia maturato una visione di sistema, quale: strategie e processi aziendali, percorsi clinici, gestione del conto economico, budgeting, gestione delle risorse, organizzazione di impresa, epidemiologia sanitaria quindi lo studio della frequenza con cui si manifestano le malattie (la pandemia docet), potrebbe candidarsi a MINISTRO DELLA SALUTE?
Dott.ssa Gabriella Scrimieri, Coordinatore Infermieristico Milano
Opi Firenze Pistoia: la commissione d’albo infermieri perde 4 componenti
Tumore del pancreas, nascono a Brescia le linee guida europee sulla chirurgia mininvasiva
Dolore addominale: come capire se è appendicite
Autismo, studio svedese: “Nessun legame causale con le infezioni contratte dalla madre durante la gravidanza”
Oggi un infermiere potrebbe candidarsi a Ministro della Salute?
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