by | Ago 1, 2022 | News
Il reparto è ormai al collasso e il personale teme le conseguenze legali di eventuali errori, che sono sempre dietro l’angolo.
Continua a far discutere la sentenza di condanna a otto mesi di reclusione per omicidio colposo inflitta a un infermiere triagista 35enne dell’ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino), responsabile, secondo il giudice, della morte di un paziente 63enne al quale aveva assegnato un codice verde. L’episodio risale al 2019.
Dopo le rimostranze della Simeu (Società italiana medicina emergenza e urgenza), ecco la dura presa di posizione assunta da 48 infermieri del Pronto soccorso di Orbassano, che hanno chiesto di essere trasferiti in altri reparti, minacciando anche di mettersi in malattia pur di non lavorare in un ambiente non più consono al loro benessere psicofisico. Già, perché la situazione, nel reparto di emergenza-urgenza, è ormai insostenibile a causa della carenza di personale, che costringe gli operatori a lavorare in condizioni di forte stress, aumentando il rischio di errori (come quello commesso dal triagista condannato).
“Adesso tutti abbiamo paura di fare il triage, perché operiamo in condizioni che aumentano notevolmente il rischio per la vita dei pazienti”, dice Luca Zanotti, rappresentante del sindacato Nursind e infermiere del San Luigi Gonzaga, aggiungendo: “Non intendiamo entrate nel merito della vicenda giudiziaria né nel dramma della famiglia, ma chiediamo di rivedere il sistema“, dal momento che “non riusciamo più a garantire un’assistenza di qualità”. Inoltre ora “il personale sanitario teme conseguenze legali“. Senza dimenticare che “chi svolge funzione di triage non riceve indennizzi”. E tornando all’infermiere condannato: “Poteva accadere a ciascuno di noi. Ecco perché gli esprimiamo la nostra vicinanza. Noi siamo le vittime, non i colpevoli“.
Redazione Nurse Times
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L’articolo Orbassano (Torino), 48 infermieri del Pronto soccorso chiedono il trasferimento dopo la condanna di un collega per omicidio colposo scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by | Ago 1, 2022 | News
Una ragazza americana ha twittato, per il suo fidanzato, una lista di cose da fare quando è vittima di un attacco di panico. Il post è diventato virale e ciò da un’idea della diffusione del problema
Per chi soffre di depressione, di ansia e soprattutto di attacchi di panico è assai utile, tranquillizzante e a volte fondamentale avere accanto qualcuno che sappia cosa fare in caso di crisi. È per questo motivo che una ragazza statunitense di nome Kelsey Darragh ha pensato di twittare una sorta di vademecum per il suo fidanzato: un elenco di “cose realistiche” che egli può mettere in atto col fine di aiutarla.
E il post sembra aver avuto molto successo (e ciò fa anche riflettere sulla reale diffusione del problema), visto che in pochissimo tempo è stato apprezzato (con un like) quasi 27.000 volte e ritwittato 10.000:
«Sappi che sono spaventata e non sarò in grado di spiegarti il perché, quindi per favore non averne paura».
«Guarda se le mie medicine se sono nelle vicinanze e assicurati che la prenda».
«Gli esercizi di respirazione mi abbatteranno, ma sono vitali: prova a farmi sincronizzare il respiro con il tuo».
«Suggeriscimi gentilmente cose da poter fare insieme per distrarmi (Non dirmi di che cosa ho bisogno o cosa dovrei fare, e ascoltami se dico di no a qualcosa)».
«Per via del panico, potrei avere disturbi dissociativi: ricordami che mi è già successo e che passerà! Raccontami alcuni fatti divertenti su di me o sulla nostra vita insieme che mi faranno sorridere».
«Qualche sorso d’acqua può essere utile, ma non dirmi che devo mangiare o bere perché, credimi, è come se stessi per vomitare».
«Respira insieme a me».
«Se possiamo andarcene da dove siamo, portami a casa».
«Per favore, cerca di essere davvero molto gentile con me: non mi riconosco e sono imbarazzata, e mi sento già colpevole, quindi per favore non essere arrabbiato con me».
«A volte un lungo, grande abbraccio mi potrà far sentire al sicuro».
«Aiutarmi a respirare: sarà difficile ma è così importante!».
«Se sto davvero male, chiama mia madre, mia sorella o la mia migliore amica».
«Non dirmi di combattere il panico. Piuttosto, lascia che mi attraversi. Più io cerco di controllarlo, o tu provi a controllarlo, peggio sarà».
«Prova empatia verso di me. Potresti non prendere mai il panico, ma hai preso me».
«Una volta che passa, parlane con me. Cerchiamo di capire cosa abbiamo fatto e cosa possiamo fare la prossima volta».
Secondo alcune stime a soffrire di attacchi di panico è il 3,5% della popolazione mondiale e nel nostro paese si parla di circa 10 milioni di persone che ne soffrono in modo sistematico. Le donne sono le più colpite e anche i giovanissimi sono sempre più a rischio. Il disturbo sparisce da solo nel 40% dei casi e in un altro 30% dei casi si arriva alla remissione con la terapia specifica; possono però verificarsi delle ricadute, per cui il rimanente 30% necessita di una terapia prolungata.
I have panic & anxiety disorder. My boyfriend does not… but wants to understand it so he can help me. SO I made him this list! Feel free to share w ur loved ones that need guidance! pic.twitter.com/k8pcCfzMcj— kelsey darragh (@kelseydarragh) 11 maggio 2018
Redazione NurseTimes
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Un infermiere modenese inventa il robot amico dei bambini, per trattare ansia e dolore prima di procedure invasive
L’articolo “Se ho un attacco di panico, aiutami così” scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by | Ago 1, 2022 | News
Giovanni Poggi, 24 anni di Modena, si è laureato in Infermieristica Pediatrica presso l’Università degli Studi di Padova, ha presentato un’insolita tesi dal titolo “Studio osservazionale: robot-terapia come terapia non farmacologica per la gestione dell’ansia nel bambino sottoposto a procedura diagnostico-terapeutica”.
Il particolare commissario è stato il robot stesso che, ha provveduto a recitare alcune domande rivolte al laureando.
“Il bambino può essere sottoposto a procedure diagnostico -terapeutiche che comporterebbero per lui dolore e, prima che vengano eseguite, creano una forte ansia e paura anticipatoria. Per questo vengono eseguite in sedazione – racconta Giovanni – Prima della somministrazione dei farmaci, vengono sempre attuate delle terapia definite “non farmacologiche”, ovvero varie tecniche per permettere al bambino di rilassarsi, provando quindi meno ansia e paura. Le terapie non farmacologiche non si sostituiscono ai farmaci, ma sono complementari. In queste terapie non farmacologiche, si inserisce la mia tesi, ovvero il robottino Nao: questo piccolo robot di 58 cm che interagisce con il bambino tramite il gioco, il canto, il ballo e gli racconta una storia, prima che si addormenti”.
Per raccogliere i dati riguardanti i risultati ottenuti sono stati somministrati questionari ai genitori dei 20 bambini coinvolti nel progetto di ricerca. Il decremento medio dei livelli di ansia prima e durante l’uso di Nao è stato del 30% circa, mentre il decremento medio dei livelli di paura del 50 per cento.
“Durante la discussione della mia tesi era presente anche Nao, insieme ad altri cinque commissari umani – spiega Giovanni – È stata la prima esperienza in Europa, forse nel mondo, che ha visto un robot partecipare come commissario a una laurea. Tutti i membri della commissione hanno posto una domanda, Nao compreso: mi ha chiesto se i bambini comprendono che lui è un giocattolo. La mia risposta è stata affermativa, specificando però che grazie al loro potere immaginativo ed evocativo, i bambini non lo vedono come un giocattolo ma quasi come un amico immaginario, dal momento che comunque è autonomo e interagisce con loro. E Nao è rimasto soddisfatto della risposta”.
Lo studio, presentato a Roma il 17 novembre nel corso del 3° Congresso di Cure Palliative Pediatriche, parteciperà anche al premio “No Pain for Children Award” che premierà i 4 migliori studi e lavori nell’ambito delle cure palliative pediatriche.
«Ora il mio sogno è poter trovare lavoro nell’ambito di ciò che ho studiato – conclude Giovanni – Lavorare con i bambini mi ha sempre entusiasmato. Sapendo inoltre cosa vivono, poiché anch’io ci sono passato essendo nato con estrofia vescicale, una malformazione che mi ha fatto fare dentro e fuori per l’ospedale per tutta la mia infanzia e adolescenza (e ancora oggi mi richiama), avendo avuto medici e infermieri che ci hanno messo il cuore, sono ulteriormente invogliato e spronato a passare dall’altra parte e diventare un aiuto per i bambini malati».
Simone Gussoni
Fonti: Gazzetta di Modena
L’articolo Un infermiere modenese inventa il robot amico dei bambini, per trattare ansia e dolore prima di procedure invasive scritto da Dott. Simone Gussoni è online su Nurse Times.