by | Ago 30, 2022 | News
La denuncia di Francesco Coppolella, segretario regionale del sindacato infermieristico, che annuncia il probabile ricorso alla Corte dei Conti: “Che fine hanno fatto gli 80 milioni stanziati per la riorganizzazione territoriale della sanità e per l’assunzione di nuovi infermieri?”.
“Secondo la norma, il paziente che arriva in pronto soccorso dovrebbe aspettare al massimo due ore. In Piemonte, invece, se ti va bene, prima di essere ricevuto trascorri 30 ore in barella. E nei casi peggiori puoi attendere anche una settimana, come a Chivasso. Inoltre gli utenti, la maggior parte delle volte, sono cittadini over 70, quindi persone fragili. Siamo al punto di non ritorno”. Così Francesco Coppolella (foto), segretario regionale del sindacato Nursind, descrive la difficile situazione dei pronto soccorso sul territorio torinese.
E così, oltre a ritardi nella valutazione e nel trattamento, con conseguenti peggioramento degli esiti e aumento dei tempi di degenza, “il disservizio provoca rabbia e disagio negli utenti”. Va da sè che “tutti i giorni ci vengono comunicati episodi di violenza verbale e fisica ai danni degli operatori”. E infatti “molti colleghi si stanno dimettendo, anche perché vengono lasciati soli dall’azienda”.
Già, perché se un soggetto provoca danni materiali in sala d’attesa, è subito denunciato con la richiesta di risarcimento, mentre “la stessa cosa non accade se un operatore viene aggredito, visto che non è accompagnato nell’iter giudiziario”. Dunque “vale più l’integrità di una sedia che l’incolumità di un infermiere”, è l’amara considerazione di Coppolella, che aggiunge: “In quattro anni abbiamo assistito a un aumento del 60% dei casi di violenza. Il 50% degli infermieri ne ha subita almeno una durante la sua carriera. Per questo abbiamo deciso di fare un esposto alle Procure di Torino e Ivrea, visto che le Aziende non hanno mai risposto alle nostre sollecitazioni. E presto accadrà anche in altre zone: ci sono leggi e norme nell’accesso alle cure dopo il triage che non trovano applicazione”.
Tra le cause delle lunghe attese per una visita, anche la carenza di personale. “Gli organici sono quattro volte inferiori rispetto a quella che dovrebbe essere la normalità – conclude il sindacalista -. La condizione di sovraffollamento e di forte criticità dei nostri pronto soccorso non è più un’eccezione, bensì la regola. Molto probabilmente ci rivolgeremo alla Corte dei Conti: vogliamo capire che fine hanno fatto gli 80 milioni stanziati per la riorganizzazione territoriale della sanità e per l’assunzione di nuovi infermieri. Qualcosa non torna”.
Redazione Nurse Times
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by | Ago 30, 2022 | News
Attraverso una lettera aperta gli iscritti al corso di laurea invocano la protezione di Università e forze dell’ordine.
“In queste settimane l’Azienda ospedaliera universitaria Policlinico ‘Paolo Giaccone’ e l’Arnas Civico di Palermo sono finiti nel mirino di tre malviventi, una coppia e un uomo di circa 30 anni, che in orari strategici, muniti di coltello, hanno importunato medici, specializzandi, infermieri e studenti, chiedendo denaro e tutto ciò che era in loro possesso”. Così, in una lettera aperta, studenti e tirocinanti del corso di laurea in Infermieristica denunciano i pericoli a cui vanno incontro nei viali dei due ospedali.
“Numerosi sono stati gli episodi di rapina e furto – proseguono -, e numerose sono state le segnalazioni rivolte ai professori del corso di laurea e alle forze dell’ordine (il cui ruolo principale è la sicurezza del cittadino), la maggior parte senza successo. Ci chiediamo: a che punto arriveremo? Dobbiamo farci giustizia da soli? Deve per forza scapparci il morto, prima di ricevere aiuto da parte di qualcuno?“.
Quindi la richiesta di aiuto e protezione: “Chiediamo e invochiamo al magnifico rettore dell’Università di Palermo, al presidente della scuola di Medicina e chirurgia e alle forze dell’ordine maggiore sicurezza, all’interno delle due strutture ospedaliere, sia nelle ore diurne che, soprattutto, nelle ore notturne, con un sistema di vigilanza continuo che duri nel tempo”.
E ancora: “È importante ribadire e sottolineare che, oltre a episodi di estorsione, si sono verificati specialmente episodi di furto d’automobili all’interno dei parcheggi delle strutture, ed è impensabile che un dipendente e uno studente debbano andare al lavoro o svolgere il proprio tirocinio formativo con l’amara consapevolezza di poter essere le prossime vittime, di essere derubati dei propri piccoli risparmi e della propria auto. Il tirocinio è un momento fondamentale per uno studente, soprattutto per noi studenti iscritti a facoltà medico-sanitarie, sia perché permette di vivere direttamente la vita dentro un ospedale sia perché ci permette di mettere in atto le competenze tecniche e teoriche apprese durante le lezioni”.
C’è anche la testimonianza diretta di uno studente: “Qualche mese fa sono stato seguito da due tizi con un motorino mentre tornavo a casa a piedi dal complesso didattico delle aule nuove del Policlinico, intorno alle 20. Hanno atteso il momento in cui la strada fosse completamente deserta per bloccarmi, minacciarmi e strapparmi il cellulare, l’unico oggetto di valore in mio possesso. Da quel giorno ho iniziato a soffrire di crisi d’ansia quando cammino solo, ma non l’ho mai detto a nessuno”.
E non è l’unica. Dichira una studentessa: ”A causa di questi tizi che aggrediscono fisicamente tirocinanti medici, infermieri e tutti coloro che lavorano fra Civico e Policlinico, ho deciso di non andare più al tirocinio per paura di essere aggredita anch’io”.
Un’altra racconta: “Una notte, durante il turno notturno, all’interno del Civico e all’esterno del Padiglione 4, mi sono affacciata al balcone che dà sulla piattaforma dell’elisoccorso e ho visto due persone, un uomo e una donna in evidente stato di alterazione, che urlavano e discutevano animosamente. L’uomo lanciava oggetti contro la donna, la quale urlava con l’obiettivo di attirare l’attenzione e, paradossalmente, ‘prede’ da derubare. Successivamente hanno approcciato una macchina ferma lì vicino, che é ripartita pochi istanti dopo. Tutto questo vicino al vigilante del Civico”.
Prosegue la lettera aperta: “Noi studenti di Infermieristica ci stiamo muovendo con ogni mezzo (segnalazioni attraverso i social network e raccolte firme per incrementare la sicurezza) e con l’obiettivo e la speranza di ricevere un aiuto da parte delle istituzioni e dall’Università di Palermo, dalle quali ci sentiamo completamente abbandonati”.
Concludono gli studenti: “Quello che le Università, gli infermieri e la società si aspettano di ottenere, alla conclusione del percorso di studi, è un professionista formato che abbia sviluppato buone competenze tecniche e sociali, ma soprattutto un’appartenenza professionale e un’identità degne della figura decorosa che andrà a interpretare. Raggiungeremo i nostri obiettivi? Potremo continuare a svolgere il nostro tirocinio formativo tranquillamente e con entusiasmo? Qualcuno ci aiuterà? Ci ascolteranno? Sono tante le domande che ci poniamo, ma una cosa è certa: noi non demordiamo, per il bene della nostra formazione e per la nostra sicurezza”.
Redazione Nurse Times
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by | Ago 30, 2022 | News
Nel comunicato stampa che segue, a firma del presidente Daniel Pedrotti, l’Ordine trentino sottolinea la necessità di investimenti nella formazione e di interventi per rendere più attrattiva la professione.
Opi Trento esprime apprezzamento e sostegno alla decisione assunta dalla Giunta provinciale, su proposta dell’assessore alla Salute, Stefania Segnana, di anticipare nel piano triennale della formazione degli operatori del Sistema sanitario provinciale l’aumento dei posti al corso di laurea in Infermieristica a Trento a 180 studenti per l’anno accademico 2023/2024.
Tale previsione è coerente con il patto “Assistenza infermieristica nel sistema trentino”, sottoscritto fra Ordine e Provincia il 17 maggio 2022 e sostenuta da più fattori, fra i quali il 45% degli infermieri iscritti, attualmente nella fascia di età 46-60 anni, che nei prossimi anni usciranno gradualmente dalla professione per pensionamento e un aumentato fabbisogno di infermieri nei prossimi anni per far fronte ai bisogni assistenziali e sanitari crescenti e sempre più complessi dei cittadini e per realizzare il tanto necessario e urgente potenziamento dell’assistenza territoriale previsto dal Pnrr e dal Dm 77.
Come emerge chiaramente dal comunicato della Pat, l’Ordine è fiducioso che alla decisione di aumentare il numero di posti al corso di laurea in Infermieristica, in coerenza con il fabbisogno, si associno imprescindibilmente anche importanti e concreti investimenti di risorse nella formazione universitaria per l’insegnamento d’aula, di laboratorio-simulazione e clinico, garantendo adeguati standard di tutor e spazi appropriati ad accogliere un maggior numero di studenti. Mantenere la formazione di elevata qualità del corso di laurea in Infermieristica di Trento, già riconosciuta a livello nazionale, significa investire sui futuri professionisti e sulla qualità dell’assistenza ai cittadini.
Secondo l’Ordine c’è però un altro dato molto preoccupante, già posto all’attenzione dell’assessorato alla Salute e rispetto al quale siamo sicuri ci sarà massima attenzione con la messa in atto di interventi programmati, strutturali e condivisi: in Italia, e in Trentino, la professione sta perdendo attrattività verso i giovani, ma anche verso i professionisti stessi. Ne è conferma lampante che in Italia i posti messi a bando ogni anno dalle università per i corsi di laurea in Infermieristica non vengono coperti dal numero dei candidati ai test di ammissione.
La sede di Trento è ancora attrattiva, sta tenendo e supera il numero di domande rispetto ai posti disponibili, ma il trend è in calo. Inoltre in questi mesi è aumentato in modo preoccupante il fenomeno delle dimissioni da parte degli infermieri, che preferiscono il lavoro nel privato o in libera professione, e in alcuni casi l’abbandono vero e proprio dalla professione. C’è bisogno dunque di lavorare affinché la professione infermieristica sia più attrattiva. Non è evidentemente sufficiente solo aumentare il numero dei posti in Università.
Opi Trento auspica che il Trentino, con le sue prerogative, possa essere laboratorio di realizzazione di nuove idee e nuovi modelli affinché sia attrattivo per i futuri professionisti della salute, per chi attualmente è infermiere, per chi sceglie questa professione dall’alto valore scientifico e umano, per continuare a garantire la tutela della salute ai cittadini nei prossimi anni. Il Trentino si è già altre volte distinto a livello nazionale per essere un laboratorio precursore in vari ambiti, l’augurio che anche nel campo della sanità lo possa diventare per tracciare una rotta utile anche per altri territori.
“Il Trentino – afferma il presidente Daniel Pedrotti (foto) – per la sua storia e per la sua autonomia ha il dovere, ma allo stesso tempo il privilegio, di intraprendere soluzioni nuove”. L’appello alle istituzioni, come già previsto nel patto Opi-Pat, è di lavorare assieme e concretamente su strategie nuove e innovative finalizzate ad aumentare l’attrattività della professione al fine di incrementare sia il numero degli studenti che scelgono di intraprendere il percorso universitario per diventare infermiere che per trattenere infermieri motivati nel sistema sanitario provinciale. Il tema è complesso, multifattoriale e necessita di azioni chiare e risolute, che devono essere attivate con urgenza, ma allo stesso tempo in modo programmato e in sinergia con le parti coinvolte, considerando queste priorità.
“Gli infermieri – prosegue Pedrotti – vogliono fare gli infermieri e vogliono dedicare più tempo all’assistenza e alle cure infermieristiche delle persone e dei famigliari in un clima sicuro, sereno, flessibile, stimolante e orientato all’innovazione e alla ricerca. Questa è l’essenza della nostra professione. Gli infermieri vogliono essere considerati come professionisti anche nella comunicazione interna e esterna delle istituzioni, sentirsi protagonisti ed essere coinvolti nelle decisioni strategiche”.
Bisogna inoltre lavorare sul fronte della possibilità di carriera, uscendo dall’appiattimento della professione legato a modelli vecchi. L’infermieristica ha oggi la necessità di differenziare/specializzare la professione, riconoscendo i diversi livelli di competenza e le aumentate responsabilità. Ci sono molti infermieri in provincia che hanno conseguito la laurea magistrale, master universitari, corsi di perfezionamento, dottorato di ricerca, ma la possibilità di fare carriera è scarsissima, ed è una carriera esclusivamente prevista in ambito organizzativo.
È necessario invece riconoscere anche ruoli di specializzazione nella clinica e nella formazione. Inoltre meno dello 0,5% degli infermieri nel pubblico – in Apss – riveste posizioni dirigenziali, e anche in questo caso nella maggior parte dei casi nell’area dell’organizzazione, pochi nella formazione e nessuno nella clinica, mentre nelle Rsa addirittura non sono previste posizioni per dirigente infermiere. Servono più posti di dirigente infermiere nelle aree della clinica – assistenza, formazione e organizzazione – al fine garantire il governo dei processi assistenziali e formativi.
È necessario attivare soluzioni per aumentare l’attrattività della professione infermieristica dal punto di vista giuridico ed economico, prevedendo e assicurando retribuzioni coerenti alle responsabilità assunte e alle competenze acquisite in ambito clinico, formativo e organizzativo promuovendo modelli assistenziali e professionali che valorizzino le competenze infermieristiche nei team interprofessionali, con particolare riferimento all’assistenza infermieristica territoriale e al potenziamento e diffusione dell’infermiere di famiglia e comunità.
Vanno create le condizioni affinché i professionisti possano apportare, ciascuno con pari dignità, il proprio contributo in termini di competenze specifiche e specialistiche sul progetto del paziente, tenendo in considerazione l’evoluzione delle professioni sanitarie negli ultimi vent’anni.
Redazione Nurse Times
Nursind Piemonte: “Pronto soccorso torinesi in tilt. Così aumentano le aggressioni agli operatori”
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by | Ago 30, 2022 | News
Il farmaco, composto da aspirina, atorvastatina e ramipril, è frutto di una ricerca presentata al Congresso europeo di cardiologia di Barcellona.
È nata la “polipillola”, composta da aspirina, atorvastatina e ramipril, per prevenire le ricadute da infarto. Perché quando una persona ha un infarto, documenta il Paìs, accade che un’arteria del cuore si ostruisce a causa della formazione di un trombo: “Questi vasi sanguigni, pertanto, sono come una specie di tubo attraverso il quale circola il sangue, e sostanze come il colesterolo tendono ad accumularsi sulle pareti di queste arterie, creando una specie di placca (aterosclerosi) che, una volta rotta, viene a contatto col sangue e forma coaguli che interrompe la corretta circolazione del sangue al cuore”.
Per questo motivo i cardiologi di solito prescrivono un antiaggregante piastrinico, come l’aspirina, ai pazienti con infarto per prevenire nuovi trombi. Ma anche una statina per aiutare a controllare i livelli di colesterolo e stabilizzare le placche di aterosclerosi; E in alcuni casi un antipertensivo. Insomma, almeno tre pillole, se non di più. Dipende da caso a caso, perché ogni paziente è un caso a sé.
La “polipillola” riunisce l’antiaggregante piastrinico, l’aspirina e antipertensivo, migliorando l’aderenza al trattamento e riducendo del 24% il rischio di nuovi gravi problemi cardiovascolari, come ictus o altro attacco cardiaco in questo gruppo di pazienti. Lo ha reso noto Valentín Fuster, cardiologo del National Center for Cardiological Research (CNIC), che ha pubblicato i risultati dello studio condotto dal suo team sul New England Journal of Medicine.
La pillola, ideata 15 anni fa da Fuster per facilitare il follow-up della terapia, riduce del 33% le morti cardiovascolari. Tutto ha però avuto inizio nel 2007, quando lo stesso Fuster si è reso conto che “l’aderenza ai farmaci nelle malattie cardiovascolari era molto bassa”. Meno del 50% dei pazienti con una malattia cronica assume i farmaci correttamente, stimano gli esperti. Proprio a causa della complessità del trattamento con più pillole e della scarsa aderenza ad essa è nata quindi l’idea di sviluppare tre pillole in una.
Fuster ha presentato i risultati della sua ricerca al Congresso europeo di cardiologia di Barcellona. La creazione della “polipillola” è molto difficile e, secondo l’azienda farmaceutica Ferrer, che ha partecipato allo sviluppo, il farmaco ha iniziato a essere disponibile già nel 2008. Solo nel 2014, tuttavia, l’Agenzia spagnola per i medicinali ha dato il via libera per la distribuzione, e nel 2015 è iniziata la commercializzazione.
Da allora i ricercatori hanno iniziato a lavorare sull’idea di misurare il successo della loro strategia di prevenzione secondaria (dopo l’infarto) in termini di salute e hanno avviato lo studio Secure. Hanno cioè studiato quasi 2.500 persone con infarto di età superiore a 75 anni o superiore a 65 con qualche fattore di rischio (diabete, insufficienza renale o precedente ictus, tra gli altri). Queste persone sono state divise in due gruppi: uno ha ricevuto la “polipillola”, mentre l’altro ha ricevuto il trattamento standard con pillole separate. E sono state seguite per una media di tre anni.
Sottolinea Fuster: “Abbiamo esaminato la coincidenza di morte cardiovascolare, infarto, evento cerebrovascolare e rivascolarizzazione urgente. Tutto era più basso nel gruppo polipill. Le curve tra i gruppi iniziano a separarsi dal primo momento e sono ancora separate a quattro anni di distanza. Se proseguissimo con lo studio, le curve sarebbero probabilmente ancora più lontane”.
Il rischio di questi eventi cardiovascolari, come detto, è stato ridotto del 24% tra coloro che assumevano la “polipillola” rispetto al gruppo che ha ricevuto il trattamento separato. Le morti cardiovascolari, in particolare, sono state ridotte del 33%: da 71 pazienti nel gruppo di trattamento abituale a 48 nel gruppo polipillola.
Tuttavia il medico è soddisfatto a metà, perché a suo avviso la pillola, sebbene migliori i risultati sulla salute, non è una panacea. Ci sono altri rischi che possono continuare a giocare contro, perché i pazienti continuano a soffrire di obesità, diabete di tipo II, ipertensione o altre condizioni cliniche di rischio per problemi cardiovascolari. “Circa il 10% o il 15% dei pazienti con infarto soffre di un altro problema cardiovascolare tra tre e cinque anni dopo l’infarto”, afferma il cardiologo.
Controindicazioni? Una delle argomentazioni che la comunità scientifica ha avanzato contro la “polipillola”, scrive il Paìs, è che “le linee guida cliniche per il trattamento dei pazienti dopo un infarto richiedono una medicina altamente personalizzata, adeguando le dosi e le cure alle esigenze specifiche di ciascun paziente, cosa non fattibile nella pratica con le dosi fisse imposte dalla polipillola”.
Ma José María Castellano, direttore scientifico della HM Research Foundation e coautore del rapporto, difende i vantaggi del farmaco. E Fuster ha sempre messo in luce la prospettiva sociale con cui è stato concepito il progetto. Il cardiologo guarda infatti ai Paesi più disagiati, dove questo farmaco “sarebbe più economico e l’aderenza molto maggiore”.
Redazione Nurse Times
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by | Ago 30, 2022 | News
Il proprietaio degli animali dovrà risarcire il ricorrente, danneggiato dall’impossibilità di riposare.
Con sentenza n. 23408/2022 la Corte di Cassazione, confermando quanto disposto da una precedente pronuncia della Corte d’Appello di Caltanissetta, ha accolto la domanda di un uomo che riteneva di aver subito un danno alla salute per via dei cani di un vicino che abbaiavano durante la notte, rendendo impossibile riposare. Il proprietario dell’animale, controricorrente, dovrà così risarcire il ricorrente con la somma di 2.700 euro.
Il proprietario avrebbe ignorato la richiesta di non lasciare i cani in terrazza. Inoltre uno dei vicini sarebbe stato licenziato per i numerosi giorni di assenza per malattia causati dallo stress e dall’impossibilità di concentrarsi, derivanti proprio dalla mancanza di riposo. Inutili le obiezioni del proprietario, secondo il quale non ci sarebbero prove in merito. La Cassazione ha infatti spiegato come, per poter configurare il reato di disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone, sia sufficiente che il fastidio provocato dal cane del vicino che abbaia superi la normale tollerabilità.
La materia è disciplinata dall’articolo 2052 del Codice civile, avente oggetto il “Danno cagionato da animali”. Ovviamente la responsabilità è del proprietario “o di chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso”, il quale dovrà rispondere direttamente “dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Due le note a margine dell’articolo: la prima riguarda l’applicazione della norma tanto “nel caso in cui l’animale sia addomesticato quanto in quello in cui non lo sia”; la seconda riguarda la responsabilità, che può essere aggrava oppure oggettiva. e che riguarda il proprietario o il custode del cane.
Redazione Nurse Times
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