by Antonio | Dic 31, 2019 | News
Nel 2016 con il Piano Nazionale delle Cronicità si è voluto dare avvio a un vero e proprio “sistema assistenziale”, rivolto alla popolazione con problemi di cronicità
Infatti, così come riportato nello stesso Piano Nazionale delle Cronicità, un’adeguata gestione della cronicità ha bisogno di un sistema di assistenza continuativa, multidimensionale, multidisciplinare e multilivello, che possa permettere la realizzazione di progetti di cura personalizzati a lungo termine, la razionalizzazione dell’uso delle risorse e il miglioramento della qualità di vita, prevenendo le disabilità e la non autosufficienza.
Sempre secondo quanto riportato nel Piano Nazionale delle Cronicità, per realizzare tale “sistema”, è fondamentale promuovere:
a) La piena valorizzazione della rete assistenziale, riorganizzando strutture e servizi disponibili e riqualificando la rete dei professionisti. La rete va rifunzionalizzata soprattutto in una visione di continuità assistenziale, modulata per ciascun paziente sulla base dello stadio evolutivo, sul grado di complessità della patologia e sui relativi bisogni socio-assistenziali;
b) Una maggiore flessibilità dei modelli organizzativi e operativi, che preveda una forte integrazione tra cure primarie e specialistiche e tra ospedale e territorio, con servizi strutturati e organizzati, reti specialistiche multidisciplinari, team professionali dedicati e modelli di integrazione socio-sanitaria;
c) L’approccio integrato sin dalle fasi iniziali della presa in carico, con l’ingresso precoce nel percorso diagnostico-terapeutico assistenziale e nel percorso di welfare integrato al quale partecipano tutti gli attori coinvolti, con l’attivazione di setting diversi in funzione del diverso grado di complessità assistenziale e delle necessità del paziente;
d) Una stadiazione in base al grado di sviluppo della patologia e dei relativi bisogni socio-assistenziali, utilizzando PDTA e piani di cura personalizzati, monitorabili attraverso indicatori di processo e di esito, multidimensionali e centrati sul paziente, gestiti con approccio proattivo;
e) L’empowerment, l’ability to cope, ed il self-care, leve fondamentali per l’efficacia e l’efficienza del sistema con il contributo delle Associazioni di tutela dei malati e del volontariato attivo, attraverso programmi di educazione documentabili e monitorabili, nel presupposto che pazienti consapevoli ed esperti siano in grado di gestire la propria qualità di vita al massimo delle loro potenzialità.
Con il Piano Nazionale delle Cronicità si è voluto promuovere un sistema organizzato su tale visione, dando a ogni Regione, la possibilità di esercitare la propria autonomia nelle scelte organizzative e operative, tenendo conto delle potenzialità e delle criticità presenti nei contesti locali per disegnare progetti di innovazione nella gestione della cronicità in armonia con il disegno nazionale.
L’eterogeneità delle patologie croniche e la loro lunga storia naturale comportano esigenze differenti in pazienti con diverso grado di complessità, che hanno bisogno di prestazioni assistenziali e socio-sanitarie erogate in servizi diversi, di cui è indispensabile coordinare e integrare le attività. La gestione integrata si è rivelata uno strumento fondamentale per perseguire e raggiungere risultati soddisfacenti nei campi dell’efficacia degli interventi, dell’efficienza delle cure, della salute e della qualità di vita dei pazienti con patologie di lunga durata.
Essa prevede, tra l’altro, l’attivazione di Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali ed un sistema di raccolta dei dati clinici che possa generare gli indicatori di processo e di esito e gli indicatori di risultato intermedio e finale. Il Piano Nazionale delle Cronicità ha indirizzato la gestione della cronicità verso un sistema capace di realizzare tale integrazione. La “demedicalizzazione” rappresenta un altro caposaldo consolidato nelle esperienze internazionali più avanzate.
Tale prospettiva richiede un maggior coinvolgimento di tutte le figure professionali coinvolte, necessarie per rispondere adeguatamente alla multidimensionalità delle patologie croniche, in seno a piani di cura concordati.
Com’è facilmente deducibile, dopo attenta lettura dei principi base sui quali è stato incardinato il Piano Nazionale delle Cronicità, la Regione Puglia, nell’esercitare la propria autonomia nelle scelte organizzative e operative, non ha tenuto conto della visione riportata nel “piano” disegnando un progetto per nulla innovativo, nella gestione della cronicità, e in completa disarmonia con lo stesso disegno nazionale. Ecco perché, già un anno fa, non è stato difficile predire quel che stava per accadere.
Infatti, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad un’opera incompiuta, il Progetto Chronic Care, introdotto in Puglia come progetto obiettivo per realizzare il “modello regionale per la presa in carico di pazienti con patologie croniche che richiedono una continuità di assistenza per periodi di lunga durata, finalizzato al miglioramento della qualità di vita dei pazienti attraverso una stabilizzazione del quadro clinico con conseguente prevenzione delle complicanze e disabilità”.
Vediamo almeno un paio di motivi della sua incompiutezza!
Il primo e il più importante, com’è facilmente desumibile, è riferibile all’errata visione mentre il secondo riguarda il fatto che, nonostante sia già trascorso un anno dal suo inizio sperimentale, poco o nulla è stato fatto, benché la Regione Puglia, avesse finanziato il Progetto Chronic Care con ben un milione e mezzo di euro (D.G.R. n. 2243/2017 “Progetti obiettivo a valere sul Fondo Sanitario Regionale. Programmazione per il triennio 2017/2019” – D.G.R. n. 1159/2018 “Documento di Indirizzo Economico Funzionale 2017 del Servizio Sanitario Regionale. Presa d’atto del Riparto FSR Definitivo 2017 e rimodulazione programmazione progettuale per il biennio 2018/2019”).
Si potrebbe affermare, in considerazione del fatto che tale “modello”, dalla sua implementazione ad oggi, non ha raggiunto alcun risultato, che in Puglia i pazienti cronici possono, anzi devono ancora attendere nonostante i cospicui finanziamenti assegnati al Progetto Chronic Care!
Infatti, è la stessa AReSS Puglia, a certificare il “fallimento”, dichiarando che l’avvio ufficiale delle attività riguardanti la sperimentazione, quali: il reclutamento dei Medici di Medicina Generale, l’individuazione dei pazienti ed il relativo impiego dei fondi, al momento, non hanno ancora avuto inizio e che tutte queste attività sono SUBORDINATE al perfezionamento dell’Accordo integrativo in corso di sottoscrizione con la Medicina di Famiglia, nonostante è trascorso quasi un anno dal suo avvio.
L’OPI di Bari, in più occasioni, aveva avanzato forti dubbi, e non in maniera aprioristica, sulla bontà di quest’ulteriore e nuova sperimentazione.
Tra l’altro, è ben noto che, il continuo sperimentare di “modelli” sempre diversi, per gestire lo stesso processo, è di per sé un grande impedimento. Alla Regione Puglia, forse, è sembrata la via più facile da percorrere per raggiungere un’adeguata gestione della cronicità, purtroppo, non è così! Infatti, l’idea che, una soluzione semplice può risolvere problemi complessi, pur andando di moda alle nostre latitudini, non è mai vincente.
Giuseppe Marangelli
L’articolo La via Pugliese (incompiuta) delle cronicità (Care 3.0) esclude gli infermieri scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 30, 2019 | News
Proponiamo un approfondimento a cura della dott.ssa Annarita Fiore sul trauma di cui si parla tanto in questi giorni per via della vicenda che ha portato alla morte di un bimbo a Padova.
La tutela dei diritti del bambino passa attraverso la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, approvata il 20 novembre 1989 a New York. In Italia, è stata accettata e approvata nel 1991. Da allora, il nostro paese si è impegnato nella tutela dei bambini con diverse azioni: dal progressivo aumento delle pene per chi abusa di loro, alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questi temi.
In particolare, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), nel 1999, identifica con il termine “Child Abuse and Neglect”: “Ogni forma di maltrattamento fisico e/o psico-emozionale di un bambino, reale o potenziale, da parte di un genitore, parente, educatore o caregiver”.
La Shaken Baby Syndrome, tradotta in italiano con “sindrome del bambino scosso”, rappresenta, ancora oggi, una delle principali cause di morbilità e mortalità nel bambino al di sotto dei due anni di vita.
Oggi, si preferisce adottare anche la più moderna
definizione di Abusive Head Trauma (AHT), suggerita dall’American Academy of
Pediatrics nel 2009, per sottolineare come non solo lo scuotimento, ma anche un
impatto traumatico, o la combinazione di entrambi i meccanismi possono essere
alla base di tale patologia .
Essa rientra nei maltrattamenti di tipo fisico, spesso
di grado severo. La reale incidenza è difficile da stimare, poiché molte
vittime non giungono mai all’attenzione dei curanti. È una patologia
sottovalutata a causa della scarsa conoscenza dei fattori di rischio.
La Sindrome del Bambino Scosso (SBS) indica una varietà di segni e sintomi secondari allo scuotimento violento od a traumi alla testa. Il bambino può presentare febbre, letargia, irritabilità, ridotta suzione e vocalizzazione, difficoltà respiratorie e apnea, convulsioni, vomito, ridotto stato di coscienza, o incoscienza nei casi più gravi, fratture della teca cranica, avvallamenti con ematomi sottostanti.
RACCOMANDAZIONI PER RIDURRE IL RISCHIO DI SBS
Perché è normale che il bambino pianga?
• Piangere
è l’unico strumento che il neonato ha per comunicare: può avere fame, sonno,
caldo, freddo, il bisogno di essere cambiato o semplicemente di coccole e di un
contatto fisico per essere rassicurato.
• Qualunque sia il motivo, non bisogna MAI SCUOTERLO PER CALMARLO!
Lo scuotimento violento, anche solo per pochi secondi,
è potenzialmente causa di lesioni gravi, soprattutto per i bambini sotto l’anno
di età.
Un altro fattore importante, da tenere in considerazione, è lo stress dei genitori. Uno degli interventi che andrebbe trasmesso al genitore è quello del “Prendersi una pausa”: se si sente stressato, frustrato o arrabbiato, bisogna che si fermi e si prenda cura di sé stesso. Il bambino sarà affidato momentaneamente ad una persona di fiducia, che si occuperà di lui. L’educazione dei genitori deve partire da temi come il pianto costante, i problemi di alimentazione, gli scoppi d’ira e l’addestramento al bagno. Queste informazioni appropriate servono ad avere approcci non violenti e alla gestione del comportamento genitoriale.
In una ricerca americana, è stato individuato uno strumento, chiamato “The Period of PURPLE Crying”. Questo strumento aiuta i genitori a capire perché il proprio bambino piange, a volte anche in modo insistente, senza un apparente motivo, quasi come se soffrisse; ed a colmare la frustrazione che può derivare dal fatto di non riuscire a calmarlo. Attraverso questo, viene spiegato in modo semplice il significato e le caratteristiche che accomunano il pianto del bambino in questa particolare fascia d’età.
Tutto viene espresso con le lettere della parola “PURPLE”:
P: Picco di pianto ( il bambino potrebbe
piangere di più nelle prime settimane, il picco massimo di pianto è nel 2°
mese, poi di meno nei mesi 3°- 5°).
U: Inaspettato ( il pianto può andare e
venire e tu non sai perché).
R: Resiste al tentativo di calmarlo ( il
bambino non può smettere di piangere, non importa cosa tu provi).
P: Faccia del dolore ( un bambino che
piange, può sembrare che soffra, anche quando non è così).
L: Duraturo ( il pianto può durare fino a 5
ore al giorno, o anche di più).
E: Sera ( il tuo bambino potrebbe piangere
di più nel tardo pomeriggio e di sera).
La Shaken Baby Syndrome è una delle principali sindromi che può compromettere la crescita del bambino o, addirittura, causarne la morte. Il fondamento è investire su interventi preventivi, atti a formare ed informare i neogenitori, ma soprattutto i professionisti sanitari, perché sono il terreno fertile da cui partire per ridurre il tasso di presentazione della SBS. Nell’ambito della prevenzione, si rende di fondamentale importanza il ruolo dell’infermiere pediatrico, figura a stretto contatto con i genitori.
Dott.ssa Annarita Fiore
L’articolo Prevenzione della sindrome del bambino scosso (Shaken Baby Syndrome) scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 30, 2019 | News
Ieri mattina ne è stata formalizzata la morte cerebrale e la Procura ha autorizzato la donazione degli organi. Per la donna si prospetta l’accusa di omicidio colposo.
Non
ce l’ha fatta, il bimbo di cinque mesi giunto in coma all’ospedale di Padova una settimana fa, dopo che la madre lo aveva scosso
violentemente. La commissione medica, composta da un medico legale, un
neurologo e un anestesista, ne ha formalizzata la morte cerebrale in seguito a
un secondo, approfondito esame, e ieri mattina sono state staccate le macchine
che lo tenevano in vita.
Il piccolo, ricoverato in terapia intensiva nel reparto di Pediatria, non presentava più alcuna attività cerebrale e la Procura ha autorizzato la donazione degli organi. Ora per la madre, inizialmente indagata per lesioni gravissime, si prospetta l’accusa di omicidio colposo. Era stata lei stessa, 29enne originaria di Vicenza, ma residente con la famiglia a Mestrino, a confessare ai carabinieri e al pm Roberto Piccione di aver scosso con veemenza il piccolo, che all’alba di sabato scorso non riusciva ad addormentarsi. Secondo il suo avvocato, non sarebbe stata in sé quando ha fatto del male al figlio.
Redazione Nurse Times
L’articolo Padova, non ce l’ha fatta il bimbo scosso con violenza dalla madre scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 30, 2019 | News
Un’emorragia massiva in ambiente extraospedaliero rappresenta un evento estremamente grave e che può condurre alla morte della vittima nel giro di pochi minuti. Per questo motivo esistono in commercio numerosi presidi in grado di incrementare le possibilità di sopravvivenza del paziente, ampiamente utilizzati nei territori di guerra.
I granuli coagulanti Celox sono in grado di arrestare un’emorragia entrando in contatto diretto con il sangue in pochi istanti. I numerosi componenti si gonfiano riuscendo pertanto a coprire anche una superficie molto estesa.
Ogni unità si congiunge alle altre generando una sorta di gel adesivo che va a formare un vero e proprio tappo in grado di arrestare il sanguinamento. L’intero processo non genera alcun aumento della temperatura corporea e non interferisce in alcun modo con gli agenti che intervengono nel processo di coagulazione dell’organismo del paziente, agendo localmente con il sangue che entra in contatto diretto con Celox.
Secondo i produttori, questa modalità avrebbe numerosi benefici tra i quali:
capacità di coagulare il sangue dei pazienti in ipotermia
capacità di coagulare il sangue dei pazienti in terapia con farmaci anticoagulanti (Eparina o Warfarin)
non genera calore attorno alla lesione
può essere rimosso semplicemente dalla lesione e gli eventuali residui vengono naturalmente riassorbiti dall’organismo.
Celox è in grado di agire anche sul sangue dei pazienti che manifestano ipotermia severa
Una grave emorragia con importante perdita ematica può causare uno stato di ipotermia nel paziente, indipendentemente dalla temperatura ambientale. Una caratteristica del sangue al raggiungimento di basse temperature è quella di presentare ridotta capacità di coagularsi anche nei soggetti che non presentano alcuna coagulopatia. Ciò rende molto più difficile arrestare il sanguinamento.
I test effettuato su Celox hanno dimostrato un funzionamento del principio attivo anche in casi di ipotermia severa (temperatura corporea inferiore si 29° centigradi).
Farmaci anticoagulanti e antiaggreganti piastrinici
I granuli Celox riescono ad arrestare un’emorragia anche in caso di paziente sottoposto a terapia farmacologica con antitrombotici. Il crescente numero di persone che utilizzano tali farmaci ha reso necessario realizzare una soluzione che potesse permettere di soccorrere tempestivamente anche questa categoria di pazienti.
Celox è stato ampiamente testato su pazienti in trattamento con eparina, dimostrando elevata capacità di coagulazione anche in caso di emorragia di questi ultimi.
Ulteriori test condotti da laboratori indipendenti hanno dimostrato l’efficacia su campioni ematici di pazienti in trattamento con warfarin e con eparina.
Il prof. Luigi Muzzi, dirigente medico presso l’Unitá Operativa di Chirurgia del Cuore e Grossi Vasi dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese (Policlinico ‘Santa Maria alle Scotte) ha pubblicato un ulteriore studio intitolato “Successful use of a military haemostatic agent in patients undergoing extracorporeal circulatory assistance and delayed sternal closure” nel quale è stata confermata l’efficacia di questo agente emostatico.
“Celox agisce semplicemente coagulando il sangue con il quale entra direttamente in contatto, senza alterare la cascata coagulativa. Poiché il Chitosano contenuto agisce indipendentemente dai meccanismi fisiologici che regolano la coagulazione, è stato dimostrato di poter agire efficacemente anche in caso di presenza dei comuni antitrombotici nel sangue quali eparina o warfarin”.
Un’ulteriore caratteristica di questo agente è quella di non generare calore, al contrario dei molti agenti emostatici di derivazione minerale.
Simone Gussoni
L’articolo Celox: l’agente emostatico che arresta un’emorragia grave anche in pazienti coagulopatici o in ipotermia severa scritto da Simone Gussoni è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 29, 2019 | News
«Un elenco di commissari, un serbatoio di test, prove uguali e contemporanee per tutti»
«Stiamo seguendo con grande attenzione la questione del concorso Estar e le sue evoluzioni, in stretto contatto con i ragazzi che hanno partecipato e che ci hanno segnalato problemi e disagi. Nel frattempo però vorremmo anche che quanto successo fosse un’occasione di riflessione più ampia». Questa la posizione di Opi Firenze-Pistoia in merito al concorso Estar che, nelle ultime settimane, è stato oggetto di polemiche e contestazioni.
«Abbiamo alcune proposte che ci piacerebbe venissero esaminate – spiegano ancora da Opi Fi-Pt – a partire dall’istituzione di un elenco generale dei commissari a livello regionale dal quale Estar potrebbe in futuro prendere i nominativi di chi andrà a comporre le commissioni. Ugualmente importante sarebbe creare un ‘serbatoio’ di test, dal quale poter prendere le domande. Dovrebbe essere ovviamente una casistica molto ampia, con migliaia di domande diverse e potrebbe servire anche da manuale per la preparazione, come già avviene in altri concorsi in settori diversi dal nostro.
Questo eviterebbe il rischio di domande errate o poco legate alla professione. Un altro problema che si è registrato è stato la disparità fra le varie sezioni di concorso che si sono svolte in giorni diversi: crediamo che questa modalità sia da evitare. I partecipanti al concorso, per evitare le disparità, dovrebbero poter affrontare le prove in contemporanea, con le medesime domande e non con quiz diversi. Questo potrebbe essere fatto prevedendo più sedi di concorso, dove svolgere però le prove in parallelo, nello stesso momento e con i medesimi quiz, possibilmente digitalizzati, per rendere tutto più pratico. Crediamo che queste sollecitazioni, frutto del lavoro della commissione di Opi Fi-Pt e delle osservazioni degli stessi partecipanti, potrebbero rappresentare un importante contributo costruttivo per evitare problemi in futuro.
Sappiamo che ci sono problemi burocratici ad andare in questa direzione, ma è la strada giusta da percorrere anche sollecitando, se necessario, una più ampia revisione normativa».
Redazione Nurse Times
L’articolo Le indicazioni di Opi Fi-Pt per migliorare le future prove Estar nei concorsi pubblici scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
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