by Antonio | Dic 31, 2019 | News
Ci giungono importanti aggiornamenti in merito al concorso per infermieri bandito dall’A.O.R.N. A. Cardarelli.
A fornircele sono Vincenzo Martinelli e Vincenzo Uccello, gli amministratori del gruppo Facebook del gruppo Facebook ufficiale che raduna migliaia di candidati alla prova selettiva.
L’idea di creare il gruppo Facebook per questo concorso è nata proprio dal quest’ultimo:
“All’inizio gli iscritti erano migliaia, e l’euforia per un’attesa durata vent’anni la si respirava nell’aria (e nei numeri). Per ognuno di noi vincere questo concorso ha assunto un significato diverso, per chi come me lavora in un’azienda ospedaliera del nord Italia, rappresenta l’occasione per ritornare a vivere la propria città e respirare quell’aria di casa che tanto manca.
Significa non dover usare le proprie ferie per ritornare a casa, Significa non dover chiedere cambi ai colleghi per partire quel maledetto giorno prima, significa non spendere più della metà dello stipendio in affitto e biglietti per Italo, Ryanair e Trenitalia, significa ritornare a riabbracciare i propri nipoti, figli, mariti.”
Per sintetizzare, significa TANTE cose. Per chi come il collega Uccello ha prestato servizio presso enti equiparati l’occasione di lavorare nel pubblico assume un sapore di riscatto, perché solo chi lavora nel privato sa cosa significa avere
quel fiato sul collo dal proprio datore di lavoro.
“Sono trascorsi circa 18 mesi dalla pubblicazione in G.U. del succitato concorso, all’epoca il D.G. del Cardarelli era l’ing. Ciro Verdoliva. Il direttore Verdoliva ha avuto l’onere e l’onore di mettere in piedi un concorso così tanto atteso e dobbiamo dare atto che la sua impronta relativamente alla trasparenza, si è percepita sin da subito. Senza usare mezzi termini possiamo affermare che in quanto ad organizzazione, dove gli altri affannano, lui passeggia.
Con il tempo ci siamo addentrati in ogni piccola sfumatura di questo infinito concorso, abbiamo costituito una delegazione informale, ed a più riprese ci siamo interfacciati con i vari dirigenti delle Risorse Umane. Ultimamente, abbiamo avuto modo anche di parlare con l’ing. Verdoliva, ex D.G. del Cardarelli ed attuale D.G. della Asl Napoli1 Centro.”
Si è detto molto su questo concorso, così tanto agognato e così tanto atteso, ma non si è sempre detto veramente come stanno le cose.
“Iniziamo col dire che alle prove preselettive erano circa 9500 i partecipanti, quattro prove
concorsuali che hanno portato alla formulazione di una graduatoria finale di merito di 1229 idonei.
Sono stati circa quattrocento i colleghi che per svariati motivi si sono rivolti ad un legale. Gli innumerevoli ricorsi, la carenza di personale amministrativo ed anche un cambio di vertice del 6 febbraio 2019 che ha visto il passaggio del direttore Verdoliva all’ASL NA 1 e della nomina del nuovo D.G. Giuseppe Longo, hanno fatto si che vi fossero degli innumerevoli ritardi tra una prova concorsuale e l’altra.”
Prima della pubblicazione della graduatoria finale di merito, si sono susseguite ben quattro rettifiche per meri errori materiali, ma una volta deliberata la graduatoria, il Cardarelli è stato abbastanza celere nel deliberare 195 assunzioni, invece delle 20 messe a bando.
Nel breve periodo ci saranno 776 assunzioni in maniera congiunta tra ASL NA 1, 2 e 3., ed in più vi è una richiesta di 20 unità da parte della Fondazione Pascale.
“Nei giorni scorsi il direttore Verdoliva ci ha rassicurato sul fatto che loro sono pronti, attendono l’elenco dei nominativi dal Cardarelli, e che non appena sarà in loro possesso, nel giro di una settimana provvederanno alle convocazioni.
Noi come delegazione vorremmo proporre ai vertici delle 3 ASL cittadine la possibilità di poter far scegliere ai neo assunti il presidio ospedaliero, distretto territoriale ecc… in cui prestar servizio, cosicché da limitare ai minimi termini le richieste di mobilità interna. A nostro modo di vedere si può fare, ovviamente il tutto compatibilmente con le esigenze aziendali
Sono recenti i nuovi PTFP relativi al triennio 2019-2021 da parte dell’ASL NA 1 e 2 e dell’Istituto Pascale di Napoli. Si attendono nel breve periodo i restanti.
A nostro avviso c’è da contrastare con fermezza l’analisi del fabbisogno del personale con cui sono stati redatti i nuovi PTFP. Viene ancora preso come punto di riferimento, l’ormai obsoleto ed inadeguato decreto 67 dove il tutto viene demandato alla sola conta dei posti letto. Per noi questo è inaccettabile.
“Senza considerare che nelle piante organiche della quasi totalità dei nosocomi campani non è contemplata la figura dell’O.S.S.: ASSURDO!!!
La buona notizia è che l’uscita dal piano di rientro e dell’ormai decennale commissariamento, potrà permettere non da subito ma a partire dai prossimi anni, maggiori risorse da destinare relativamente al capitolo di spesa del personale, cosicché da rivedere i piani triennali ormai redatti con i vecchi parametri e ridare finalmente dignità ai cittadini e professionisti campani.
Il nostro pensiero va ai colleghi presenti negli ultimi posti della graduatoria, non vi lasceremo soli e vi anticipiamo che vi saranno ulteriori scorrimenti, presumibilmente nel periodo primaverile. Nei prossimi anni i neo laureati e i colleghi che tristemente non ce l’hanno fatta a superare questo maxi concorso, potranno ben sperare, in quanto l’uscita dal suddetto commissariamento permetterà alle aziende ospedaliere Campane di bandire nuovi concorsi (alcuni attendono solo la pubblicazione in G.U.).
Felici di poter essere d’aiuto ai tanti colleghi che abbiamo conosciuto in questo lungo percorso.”
Vincenzo Martinelli
Vincenzo Uccello
L’articolo Graduatoria infermieri Cardarelli: scenari attuali e futuri. Intervista a Vincenzo Martinelli e Vincenzo Uccello scritto da Simone Gussoni è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 31, 2019 | News
La Fials contro i vertici della ASL BA “…domani 31/12/2019 scadono i contratti di lavoro di oltre 150 dipendenti, tra medici e personale sanitario e nessuno si preoccupa!”
Preoccupazione per la tenuta della sanità pugliese. L’allarme lanciato dalla Fials sulle scadenze del personale sanitario che, a quanto pare, non essendo stati prorogati, rischiano di lasciare un buco nelle dotazioni organiche difficile da colmare.
La denuncia della Fials in una nota firmata dal Segretario Generale Massimo Mincuzzi:
“Nel mentre il Presidente Emiliano partecipa giornalmente alla sottoscrizione di contratti di lavoro in tutti gli Enti e Aziende Sanitarie della Puglia, nessuno si preoccupa invece di ciò che accadrà il 1 gennaio 2020 nelle strutture sanitarie della ASL BA, che avrà turni di servizio scoperti nelle corsie degli ospedali e nei servizi sanitari del territorio.
Infatti domani scadono i contratti a tempo determinato di oltre 150 operatori sanitari della ASL BA, senza che la Direzione Generale si sia preoccupata per tempo di prorogarli, mettendo i Coordinatori dei reparti e dei servizi sanitari nella impossibilità di predisporre la corretta turnazione di servizio del mese di GENNAIO 2020, a causa della mancata proroga dei contratti.
I turni dei reparti della ASL BA, a partire dal 1 gennaio2020 non possono quindi a tutt’oggi contare sulla prestazione lavorativa di questi lavoratori precari, perché per evidente noncuranza e sottovalutando le ricadute negative sull’assistenza, nonostante la necessità di garantire adeguati livelli di assistenza, non si è proceduto ancora alla proroga dei contratti.
Non possiamo credere che l’Area Gestione del Personale della ASL BA non abbia provveduto, come di consueto, alla predisposizione degli atti di proroga, me qualora fosse così,la Direzione Generale della ASL BA dovrebbe valutare immediatamente dal punto di vista disciplinare eventuali inadempimenti dei dirigenti degli Uffici.
Ma se così non fosse chiediamo al Presidente Emiliano di disporre un’immediata ispezione presso la Direzione Generale della ASL BA, al fine di valutare eventuali colpevoli condotte che, non procedendo alla proroga dei contratti a tempo determinato di 150 operatori sanitari tra medici e non medici, rischiano di mettere a rischio la continuità assistenziale”.
Redazione Nurse Times
L’articolo La Fials contro i vertici della ASL Bari: “Irresponsabili!” scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 31, 2019 | News
Lo evidenzia una ricerca condotta dall’associazione Antigone. Ogni recluso in terapia ha mediamente a disposizione uno psichiatra per quattro minuti a settimana.
II dato secco è
impressionante: il 27% dei detenuti
italiani viene sottoposto a terapia
psichiatrica, percentuale che, come tutte le medie statistiche, oscilla fra
l’incredibile 97% della casa di reclusione di Spoleto e il minuscolo 0,6% di
Volterra.
L’associazione Antigone,
con la sua ricerca condotta su oltre 60 istituti detentivi su 190, alza il velo
sull’ennesima, grave espressione di disagio del mondo carcerario italiano.
Forme di sofferenza che spesso sfociano in aggressioni agli agenti di polizia
penitenziaria, atti di autolesionismo dei reclusi e suicidi: nel 2018 si sono
tolti la vita 61 detenuti, il 33% in più rispetto al 2015 (quando erano stati
39). Ma è soprattutto il divario con quanto accade fuori dal carcere a dare la
misura della drammaticità della situazione: il tasso di suicidi calcolato su 10mila
persone nel mondo libero è sotto 1’1%, mentre dietro le sbarre un anno fa è
balzato al 10,4%. Il numero del 2019 aggiornato allo scorso 7 dicembre parla di
46 episodi.
Un’emergenza così acuta,
quella dei problemi mentali e delle loro conseguenze sulla vita all’interno
delle carceri, che pochi mesi fa il capo del Dipartimento amministrazione
penitenziaria, Francesco Basentini,
ha scritto al Governo e ad altri organismi interessati una lettera dal titolo
inequivocabile: “Interventi urgenti in ordine all’acuirsi di problematiche in
tema di sicurezza interna riconducibili al disagio psichico”. Vi si legge: “Occorre
dedicare ogni sforzo all’implementazione dell’assistenza psichiatrica negli
istituti, per le valutazioni delle persone detenute e per i contatti con i
dipartimenti di salute mentale del territorio, ai fini della continuità terapeutica
al ritorno in libertà”. Vanno promossi “accordi su tutto il territorio
nazionale fra direzioni penitenziarie e Asi” e, soprattutto, per l’assistenza
ai detenuti malati, vanno rafforzati “i servizi psicologici e psichiatrici”.
Già, perché allo stato
attuale, sempre secondo Antigone, l’assistenza è chiaramente insufficiente se,
ogni 100 detenuti, la presenza settimanale media degli psicologi è pari a 11
ore e mezza. Dato che precipita a 7 ore quando si parla di psichiatri. Sette
ore alla settimana per cento persone significa che ogni recluso ha uno
specialista a sua disposizione per quattro minuti e venti secondi, quanto basta
a malapena a un medico per fare una domanda, avere una risposta e prescrivere
un medicinale.
Il che fa sorgere il dubbio
ragionevole che un ricorso così generalizzato agli psicofarmaci sia spesso la
risposta impropria a problemi di altro genere: «La situazione di istituti come quello di Spoleto, dove le persone in
terapia psichiatrica superano il 97% del totale e le ore passate dagli
psichiatri con cento di loro ogni settimana sono 2 e 21 minuti, ci dice che non
si fa null’altro che prescrivere medicinali, trascurando qualsiasi altra forma
di intervento, il che vuoi dire che diventa anche uno strumento di controllo»,
sostiene Michele Miravalle,
coordinatore nazionale dell’Osservatorio sulle condizioni detentive di
Antigone.
Gli ansiolitici sono i
medicinali cui si ricorre più spesso e con cui si interviene su detenuti nelle
attività rieducative, scolastiche e lavorative ridotte al lumicino: «Occorrerebbe distinguere il disagio mentale
vero dal disagio sociale legato alla famiglia di provenienza e alla povertà dei
detenuti – aggiunge Miravalle –. Molti dei casi trattati come psichiatrici
hanno proprio di questi problemi. D’altra parte, chi non impazzirebbe a passare
venti ore al giorno di ozio penitenziario?».
Il contesto di
sovraffollamento cronico – 123,5% il dato medio – ovviamente non aiuta, così
come non aiuta la scarsità del servizio assicurato dalle Asl in certe realtà: «A Foggia, dove ci sono oltre 600 detenuti,
non c’è neanche uno psicologo e gli psichiatri sono presenti per tre ore alla
settimana per cento persone». Felice
Nava, direttore dell’Unità operativa di sanità penitenziari Auls 6 di Padova,
pensando all’enormità del dato di più di un detenuto su quattro in cura con
psicofarmaci, indica un equivoco di fondo: «La
prima distinzione da fare è fra patologia psichiatrica e disagio psichico: il
reo folle ha le caratteristiche del soggetto malato per cui è in cura da psichiatri,
ma non va confuso con chi, non avendo una patologia, esprime un disagio che si
traduce in autolesionismo o in un tentativo di suicidio. Voglio dire che le
percentuali dei soggetti veramente psicotici sono le stesse sia fuori che
dentro il carcere, ma in prigione c’è il disagio psichico che si manifesta
molto di più perché quello è un luogo estremo. È la mancanza di attività
rieducative e lavoro, propedeutiche alla riabilitazione, che induce questo
problema».
L’impennata delle terapie
psichiatriche degli ultimi anni, con ricorso indiscriminato alle benzodiazepine
(«di cui in molti casi si abusa, come
avviene col Rivotril», aggiunge Nava), è anche legata a un evento
importante per il nostro sistema carcerario: la fine degli Opg, gli ex manicomi criminali che ospitavano circa 1.500 persone. «Da quando, cinque anni fa, sono cominciati
a diminuire gli invii di detenuti agli ospedali psichiatrici giudiziari in
vista della loro chiusura, nelle carceri hanno osservato l’aumento di problematiche
mentali – evidenzia Miravalle –. Un
aumento che è esploso quando tutti gli Opg hanno cessato di esistere, fra il
2016e il 2017».
Nel frattempo venivano
istituite le Rems (capienza
complessiva di 600 posti su 32 centri), le residenze per l’esecuzione delle
misure di sicurezza gestite dai servizi sanitari territoriali e concepite per
accogliere gli ex detenuti degli Opg, oltre agli autori di reati giudicati incapaci
di intendere e di volere. Tutta gente che un tempo finiva dimenticata nei
manicomi criminali. La legge 81 del 2014 ha stabilito anche l’impossibilità,
per quanti si ammalano di patologie mentali all’interno di un carcere dopo la
condanna, di essere trasferiti nelle Rems: è in prigione che devono essere
curati, al pari di qualsiasi altro paziente, e sono i medici delle Asl a dover
farsene carico. «L’intento del
legislatore era proprio quello di evitare che anche le Rems, come avveniva una
volta per gli Opg, diventassero un luogo dove scaricare i casi difficili»,
commenta Miravalle.
Sulla carta tutto bene,
peccato che il meccanismo ben presto si sia inceppato per la latitanza dei
servizi psichiatrici territoriali, al punto che, riporta il coordinatore di
Antigone, «oggi, parlando con qualsiasi
direttore di carcere, fra le problematiche più rilevanti, ci sono i detenuti
con problemi mentali». Al Dap confermano le criticità, parlano di “forte
preoccupazione” e mettono in evidenza la “difficoltà di dialogo con una
pluralità di soggetti”, cioè le Asl delle varie città, che si regolano ognuna in
maniera diversa. Denunciano anche il “malessere dei detenuti, manifestato con
aggressioni al personale” e ricordano che “non sempre i nostri appelli (ai
servizi sanitari territoriali, ndr) alla collaborazione, a parte alcune realtà,
vengono seguiti”.
Ne fanno le spese i detenuti
malati, soprattutto ora, durante le feste. Alcuni fra i 30 reparti psichiatrici
attivi in altrettante carceri italiane sotto le feste dovranno chiudere per
mancanza di assistenza, ma i pazienti resteranno lì, in prigione, con i loro disturbi.
Quei reparti ospitano in tutto 300 persone. In più ci sono i malati in lista
d’attesa, perché tutta l’Italia è paese, al di qua e al di là delle
sbarre.
Redazione Nurse Times
Fonte: La Stampa
L’articolo Disagio nelle carceri: un detenuto su quattro è sotto psicofarmaci scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 31, 2019 | News
I genitori non hanno fatto in tempo a organizzarsi per il trasporto in ospedale. Fondamentale l’assistenza prestata dagli operatori del 118.
È stato
un parto improvviso. Uno di quelli che non dà a una coppia il tempo di
organizzarsi. Così ieri mattina Thomas
è nato in casa a Perugia, grazie
all’assistenza prestata alla sua mamma dagli operatori del 118. Per l’infermiere Alan Pinti, in particolare, si è trattato della seconda esperienza
del genere. Cinque anni fa, infatti, gli era capitato di far nascere una bimba
nell’ambulanza diretta verso l’ospedale.
In
questo caso, la donna di 30 anni ha iniziato ad avvertire alcuni disturbi nelle
prime ore del mattino. Dapprima, però, né lei né il marito hanno pensato che
fosse arrivato l’atteso momento. Né, probabilmente, hanno sospettato che tra le
doglie e il parto potesse intercorrere pochissimo tempo. La richiesta di
soccorso è arrivata alla centrale del 118 alle 9:20. Un’ambulanza è partita
dalla postazione di Ponte Felcino, arrivando in pochi minuti dove si trovava la
coppia, in un condominio di Ponte Valleceppi. Vista la situazione, gli operatori
sanitari si sono preparati ad assistere la donna direttamente sul posto, senza
tentare il trasporto al Santa Maria della Misericordia.
Così
Alan Pinti si è trovato di fronte a una situazione che aveva già sperimentato. È
lui stesso a raccontare quei momenti concitati: “Le condizioni oggettive erano diverse. Cinque anni fa il parto
avvenne in ambulanza. Stavolta, invece, la donna era in bagno e c’era tanta
apprensione”. Ma tutto è andato per il meglio: “Ho condiviso la commozione della mamma e del papà, e ho subito
chiesto il nome del bambino”.
Thomas,
secondogenito, sta bene, pesa 3 chili ed è stato trasferito nella struttura di
Ostetricia e ginecologia del Santa Maria della Misericordia. Pinti, che è
rimasto in servizio fino alle 14 di ieri, ha anche ricontattato la neomamma
quando ormai si trovava in Ostetricia. L’esperienza gli fa sperare che si
ripeta quanto accaduto dopo il parto di cinque anni fa. Con la famiglia della
piccola Maria Elena, infatti, è rimasto sempre in contatto: “Vedo ogni tanto la bambina. I genitori
mi informano dei suoi progressi, siamo diventati amici. Spero che accada la
stessa cosa con Thomas”.
Spiega
Giuseppe Luzi, dell’equipe di Ostetrica
e ginecologia dell’ospedale: “Il
parto improvviso può avvenire per varie ragioni, soprattutto nel caso dei
secondogeniti, come avvenuto domenica. I tempi dei primi travagli, infatti,
sono lunghi circa il doppio”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere dell’Umbria
L’articolo Perugia, parto improvviso: Thomas nasce in casa scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
by Antonio | Dic 31, 2019 | News
Proponiamo un approfondimento sul tema a cura della nostra collaboratrice Milena Mazzone.
Il piede torto congenito è una delle più comuni malformazioni congenite delle ossa e delle articolazioni dei neonati (1-2 su mille nati), è spesso bilaterale ed è più frequente nei maschi. Il piedino colpito da tale malformazione, detto “equino varo spinato”, presenta nel complesso una torsione sul proprio asse longitudinale: alla nascita i piedi appaiono ruotati verso l’interno con le punte verso il basso, rigidi, deformati in una posizione.
I piedi sono quindi: addotti (la parte anteriore punta all’interno), vari (il tallone è piegato verso l’interno) supini (la pianta del piede è ruotata verso l’alto) cavi (il piede appare come rotto a metà sul lato interno). L’entità della malformazione è diversa, da lieve a grave, e pertanto si può classificare, valutare e trattare secondo differenti approcci clinici. Se non curata o non trattata adeguatamente, questa malattia comporta una deformità strutturata, causa di gravi disabilità fisiche, psicologiche, sociali, economiche per la famiglia e la società.
Le cause non sono ancora completamente conosciute, si pensa a un’alterazione con attivazione dei geni responsabili della malattia, che agisce durante la 12esima-16esima settimana di vita fetale. La diagnosi può essere fatta già in gravidanza attraverso l’esame ecografico. Ciò consente un’adeguata informazione sulla patologia e sulle possibilità terapeutiche, nonché un trattamento precoce e adeguato.
Da qualche anno svariati centri di ortopedia specializzati nella cura del piede torto hanno adottato una nuova metodologia, ideata dal professor Ignacio Ponseti, che utilizza un trattamento di tipo conservativo, senza dover ricorrere a interventi chirurgici particolarmente invasivi e con un rischio minimo di recidive anche per le forme più gravi di questa malformazione. Tale metodo prevede l’applicazione settimanale di gessi seriati (circa 5-6 gessetti), che correggono progressivamente e senza alcun dolore la deformità. Spesso è necessario eseguire un piccolo intervento chirurgico di allungamento del tendine di Achille, in sedazione, senza punti di sutura, seguito da un ultimo apparecchio gessato per tre settimane.
Il trattamento prosegue con l’utilizzo di un tutore (due scarpette fissate da una barra) per mantenere i risultati ottenuti e prevenire le recidive. In questa fase sarà indispensabile la collaborazione dei genitori nella gestione del tutore, che il bambino dovrà portare inizialmente per 23 ore al giorno, per un tempo progressivamente ridotto fino all’anno di età, e successivamente solo di notte fino ai 4 anni.
Il risultato è che i piedi di questi piccoli pazienti si sviluppano nel tempo forti, flessibili, plantigradi. Il mantenimento, senza dolore, della loro funzionalità è stato dimostrato da un follow-up durato oltre 35 anni. È molto importante, quindi, rassicurare i genitori, perché il bambino opportunamente trattato non avrà alcun tipo di handicap e sarà in grado di condurre una vita normale e attiva.
Milena Mazzone
L’articolo Trattamento del piede torto congenito: il metodo Ponseti scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.
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