Parkinson, in arrivo un infermiere “speciale”

Grazie a una start-up milanese, approda anche in Italia un nuovo modello di presa in carico del malato.

Secondo
il Global Burden of Disease Study, le malattie
neurodegenerative sono la prima causa di disabilità nel mondo, e il morbo di Parkinson – che domani, 30 novembre,
celebra la sua Giornata nazionale – è quella che cresce più rapidamente di
tutte. In Italia colpisce circa 270mila persone, ma nel 2040 ci si attende un
raddoppio di questa cifra. Con un esordio intorno ai 60 anni, il Parkinson è
una malattia del sistema nervoso centrale tipica della terza età.

Oggi
un malato di Parkinson ha la stessa aspettativa di vita di un anziano sano e
convive con la malattia per diverse decadi. Ma in che modo? «Vedi il tuo medico due volte l’anno per
mezz’ora, il resto del tempo ti autogestisci», spiega Sara Riggare, una paziente svedese socialmente tra le più attive al
mondo.

Enorme
anche il carico emotivo e assistenziale
che grava sulle spalle di chi assiste questo genere di malati (nel 66% dei
casi, secondo un’indagine di Parkinson Italia, si tratta del coniuge). Una
ricerca della European Parkinson’s Disease Association a questo proposito
segnala che i pazienti più soddisfatti sono quelli affiancati da un infermiere specializzato che coordina i
vari interventi degli altri operatori sanitari.

Questo
modello di presa in carico arriva adesso anche in Italia, grazie ad una start-up
milanese che si chiama ParkinsonCare.
«Ogni paziente – precisa Orientina Di Giovanni, direttore generale della società ed ex caregiver – ha un infermiere dedicato da chiamare ogni
volta che ha bisogno di confrontarsi su qualcosa, siano essi sintomi, dubbi sui
propri comportamenti o preoccupazioni divario genere. È un infermiere che fa da
ponte con il medico curante, per sollevarlo da problemi non medici e per
aiutarlo a intervenire con maggiore prontezza quando ce n’è davvero bisogno. Anche
se non possiamo guarire i pazienti, siamo certamente determinati a rendere la
loro vita più serena e più sicura».

Redazione Nurse Times

Fonte: Avvenire

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Andare in pensione fa male alla salute: rischio di infarto e depressione aumentati nei primi 2 anni

Andare in pensione non è salutare. Questo è quanto emerso dai risultati presentati al 64° Congresso nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) che si è svolto a Roma. Nei primi due anni lontano dalla routine lavorativa vi sarebbe un importante incremento di eventi cardiovascolari, depressione e del ricorso a medici e specialisti. 

Secondo i dati appartenenti a diversi studi internazionali, l’incremento delle patologie sopracitate è compreso tra il 2 e il 2,5%.

“Andare in pensione fa male alla salute. Lavorare stanca, ma protegge corpo e mente. A parte le persone che hanno avuto una vita lavorativa molto usurante, chi è malato, chi ha cominciato in età molto giovane, in generale la pensione crea fragilità e peggiora lo stato di salute”, spiega Niccolò Marchionni, Ordinario di Geriatria all’Università di Firenze e direttore di Cardiologia generale all’ospedale Careggi. 

“Andare poi in pensione prima del previsto, come prevede Quota 100, ad un’età di appena 60 anni, quando si è ancora in forze e si sta bene, non fa solo male alla salute, fa male alla società. Andare via prima di poter contare sul reddito che viene dal lavoro, è immorale”, ribadisce anche Raffaele Antonelli Incalzi, presidente di Sigg, “specie se pensiamo alla situazione drammatica dell’economia nel Paese”. 

Inoltre il raggiungimento della pensione, per la maggior parte delle persone, rappresenta l’inizio di una fase della vita nel quale non ci si considera più utili al prossimo.

“Quello che avvertiamo noi medici, è che uscire dal mondo del lavoro sia peggiorativo anche per la salute percepita, cioè che essere fuori dal lavoro incida sul modo di sentirsi dalle persone stesse, sia fisicamente che psicologicamente: essere pensionati innesca un meccanismo che fa sentire nell’ultima fase della vita, non più coinvolti, fuori da tutto”, spiega Nicola Ferrara, Ordinario di Geriatria all’Università Federico II di Napoli. 

“L’uscita dal processo produttivo, la mancanza di un impegno nella società, il senso di marginalizzazione – dicono gli esperti Sigg – ha una ricaduta sulla salute che i medici toccano con mano. Il periodo post-pensione coincide con una fase di fragilità con sintomatologia fisica e cognitiva. “Dagli studi emerge una esperienza diversa tra ceti abbienti e non, tra persone istruite e pensionati con minori risorse culturali – chiariscono gli esperti – chi ha meno strumenti e reddito più basso, ha anche maggiori problemi di salute”. 

“Non è da sottovalutare inoltre – aggiunge Ferrara – un dato molto importante. Con la pensione la maggior parte delle persone vede diminuire il proprio potere di acquisto. Peggio ancora per chi decide di usufruire di leggi che consentono l’uscita anni prima rispetto al raggiungimento dell’età e che perdono una percentuale notevole di reddito. Con il risultato che un settantenne, pur avendo lavorato per 40 anni, rischia di diventare un nuovo povero e di non potersi permettere le cure di cui ha bisogno”. 

Sembra dunque chiaro il messaggio che viene trasmesso dai numerosi specialisti: 

“Non desiderate pazzamente di andare in pensione, perchè non sapete che cosa vi aspetta. Preparatevi per tempo ad affrontare quel senso di vuoto e inutilità che può nuocere gravemente alla salute”

Simone GussoniL’articolo Andare in pensione fa male alla salute: rischio di infarto e depressione aumentati nei primi 2 anni scritto da Simone Gussoni è online su Nurse Times.

Campania, è svolta sanità: Regione fuori dal commissariamento

Dopo il via libera della Conferenza Stato-Regioni, serve l’okay del Governo. Il governatore De Luca: “Svolto un lavoro straordinario”.

Governo della salute: via
libera, ieri a Roma – a margine dell’ultima seduta della Conferenza
Stato-Regioni – all’uscita della Campania dal regime commissariale.
Un semaforo verde che giunge a distanza di due settimane da quello che, sul
piano tecnico, era già scattato il 13 novembre scorso da parte dei ministeri
dell’Economia e della Salute. Ora manca solo la ratifica finale della
presidenza del Consiglio dei ministri, attesa entro Natale.

Vincenzo De Luca (foto) è insomma pronto a svestire i panni di commissario per tornare
a svolgere unicamente il ruolo di presidente della Regione, con la necessità di
indicare un assessore al ramo. Passaggio politico e tecnico, quest’ultimo, non
scontato, in quanto il governatore campano ha sempre detto di voler avocare a
sé la delega alla Sanità.

«Per noi è un obiettivo di immenso valore – ha detto De Luca –. Abbiamo fatto un lavoro straordinario di risanamento finanziario e di
avanzamento dei livelli essenziali di assistenza. La caratteristica
fondamentale di questo lavoro è che abbiamo risanato i bilanci delle Asl senza
tagliare, ma anche accrescendo i livelli essenziali di assistenza. Un lavoro
enorme, che conferma che la Campania si propone come modello di un altro Sud, fatto
di concretezza, rigore spartano, trasparenza e capacità amministrativa».

Il percorso triennale di consolidamento dei livelli essenziali di assistenza, che solo dal 2018 hanno iniziato a camminare nel solco della sufficienza, è del resto solo all’inizio. L’intesa Stato-Regioni sul Patto per la salute sblocca anche le assunzioni di personale: possibili subito 2mila nuovi ingressi per medici e 5mila infermieri.

La fumata bianca della
Conferenza Stato-Regioni – impegnata con il ministro della Salute, Roberto Speranza, a sciogliere gli
ultimi nodi del Patto della Salute – è stata anticipata ieri mattina da Donato Toma, presidente della Regione
Molise, che ha presieduto la seduta fissata nel pomeriggio: «La situazione e abbastanza chiara, abbiamo
discusso, ma velocemente. Le carte sono molto eloquenti».

Le carte dicono che la
Campania, per il sesto anno consecutivo, conferma il pareggio dei conti di Asl e ospedali (l’unica azienda in deficit è
la Napoli 1, per circa 78 milioni di euro, compensati da avanzi di
amministrazione degli altri) e paga i fornitori entro un mese dalla emissione
delle fatture, facendo meglio delle più blasonate Regioni del Nord. Anche sul
fronte dei Lea (livelli essenziali
di assistenza), dopo quasi un decennio di profondo rosso (da quando è scattato
il Piano di rientro), la Campania è tornata sopra il livello della sufficienza
(fissata a 160), passando dai 153 punti del 2017 ai 170 del 2018, con un trend
attestato per il 2019 a quota 183.

Ma se andiamo a vedere la media di voti assegnati, negli ultimi otto anni e fino al 2017, come documenta uno studio della Fondazione Gimbe pubblicato ieri dal Sole 24 Ore, la Campania è confinata all’ultimo posto in Italia. È lo stesso Nino Cartabellotta, presidente Gimbe, però ad ammettere: «Dal 2017 al 2018 la Campania (quando De Luca è diventato commissario, ndr) ha fatto un ottimo recupero. La nostra è una analisi pluriennale sulle regioni ordinate per adempimenti cumulativi nella media degli ultimi otto anni. La Campania era ultima, ora è migliorata ed è andata sopra la sufficienza».

Va qui sottolineato che la
Campania è fuori dal commissariamento, ma resta in Piano di rientro per un triennio, secondo il percorso di
fuoriuscita tracciato a suo tempo della originaria norma che nel 2009 (la Legge
191) regolamentava i piani di rientro. La svolta si colloca intanto nello snodo
di un acceso confronto in corso sul nuovo Patto per la salute. Qui si ragiona
sul riparto delle risorse della torta nazionale dei finanziamenti per la sanità
(116 miliardi) e sui commissariamenti prossimi venturi per inadempienza sui
Lea. Una partita fondamentale, che incrocia i nuovi parametri di valutazione
della qualità delle cure, che scatteranno il prossimo gennaio. Su entrambi i
fronti il governatore della Campania è pronto a dare battaglia.

Non si può parlare di buon
uso delle risorse e di sviluppo e riqualificazione delle rete dell’assistenza –
è il ragionamento di De Luca – se non si viene prima a capo della madre di
tutte le iniquità tra Nord e Sud. Nel 2017 la Campania ha fatto registrare una
spesa pubblica pro capite per la salute di 1.723 euro per cittadino, rispetto a
un valore medio nazionale di 1.866. La spesa pubblica in Campania è quindi la
più bassa d’Italia, a fronte di una popolazione che è terza dopo Lombardia e
Lazio. La gestione ordinaria, che è ormai vicina, deve insomma fare i conti sul
riequilibrio delle risorse.

Il secondo nodo sono i nuovi
Lea, nuove soglie e indicatori che scatteranno a gennaio 2020. È il cosiddetto “nuovo sistema di garanzia”, a cui la
griglia Lea dovrebbe cedere il passo. «Se
il nuovo strumento è stato sviluppato per meglio documentare gli adempimenti
regionali – dice Cartabellotta -, è
però necessario utilizzarlo per rivedere i piani di rientro e permettere al
ministero di effettuare “interventi chirurgici”, selettivi sia per
struttura sia per indicatore, evitando di paralizzare con lo strumento del
commissariamento l’intera Regione». Dalla Regione, però, fanno sapere: “Il
nuovo sistema di garanzia è così complesso che abbiamo difficoltà a simulare
sul 2017 e sul 2018 i risultati. In ogni caso saremmo sopra il livello minimo (il
60%) per due parametri su tre».

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Mattino

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“Ho conosciuto medici e infermieri straordinari ed ho capito subito di essere nelle mani giuste”

L’ex calciatore e attuale allenatore del Bologna Sinisa Mihajlovic ha voluto parlare della propria delicata situazione di salute in una conferenza stampa che si è tenuta a nella sala stampa dello stadio “Dall’ara”:

“In questi quattro mesi difficili ho conosciuto medici straordinari, infermieri che mi hanno curato, supportato e sopportato, perche’ so di avere un carattere forte, a volte difficile, ma sono stati meravigliosi con me. Ho capito subito di essere nelle mani giuste, senza di loro non avrei potuto fare questo percorso che secondo me e’ andato molto bene”. 

Sinisa ha voluto fare il punto sulle sue condizioni di salute pochi giorni dopo il trapianto di midollo osseo a cui si è sottoposto.

“In questi 4 mesi ho pianto e non ho più le lacrime. Mi sono rotto le palle di piangere”. 

Queste parole sono giunte in risposta a quelle di Michele Cavo, primario di Ematologia, che aveva detto che “le lacrime sono catartiche”, commentando il momento di commozione appena vissuto dal tecnico.

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Lo sport come nuovo paradigma della riabilitazione

A Montecatone sono stati avviati allo sport oltre 2mila pazienti e una decina di loro ha partecipato alle Paralimpiadi. Merito della rieducazione tramite gesto sportivo, il cui beneficio è sia clinico che psicologico.

Lo sport come parte essenziale del processo riabilitativo dalla disabilità, stimolo al risveglio psicomotorio o carburante per affrontare nuove, insperate sfide proposte dalla competizione ai suoi più alti e nobili livelli, anche olimpionici: sono storie straordinarie quelle dei pazienti del Montecatone Rehabilitation Institute, che dal 2003 si sono sottoposti a un’efficace metodica riabilitativa (rieducazione tramite gesto sportivo – RGS), in cui la disciplina sportiva non è proposta come passatempo o come un di più, bensì come tassello strategico dentro un più ampio mosaico terapeutico. Storie di rinascita e di nuovi obiettivi da centrare.

Il bilancio è importante sia sotto il profilo quantitativo – nel 2019 è stata abbondantemente doppiata la boa del paziente numero 2mila avviato allo sport – sia qualitativo, con una decina di partecipazioni alle Paralimpiadi a far data dall’edizione 2008. Questo anche grazie alla collaborazione con il Comitato Italiano Paralimpico (sezione dell’Emilia Romagna), che mette nelle disponibilità di MRI – dove è ubicato lo sportello dello stesso CIP – la professionalità degli istruttori federaliel’utilizzo delle strutture d’area.Negli anni, a Montecatone, dove ha sede la più grande Unità Spinale in Italia, è stata progressivamente incrementata l’offerta riabilitativa per soddisfare persone con differenti abilità neuromotorie. Mediamente un terzo dei Pazienti/anno arruolabili in questo percorso (oltre 600) vi aderisce. Attualmente le discipline praticate sono 13: nuoto, tennis e basket in carrozzina, tiro a segno, tiro con l’arco, tennis tavolo, scherma, golf, handbike, vela, canoa, sci, e arrampicata.

Le attività connesse alla RGSsono
svoltein impianti sportivi per normodotati, una scelta adottata
sin dal principio che ha consentito di far emergere aspetti positivi come il
miglioramento dell’integrazione sociale dei Pazienti. «Perché – spiega Davide Villa, fisiatra, coordinatore
Area day hospital e ambulatori, nonché responsabile in Istituto del percorso
RGS– il beneficio è sia
clinico sia psicologico: riduzione dei rischi cardiovascolari, miglioramento
della capacità respiratoria, degli scambi gassosi e dell’ossigenazione del
sangue, incremento di forza muscolare, delle capacità motorie e della
resistenza alla fatica, ricostruzione identitaria e dei rapporti sociali,
incentivo ad affrontare le proprie difficoltà e valenza riabilitativa offerta
dal puro piacere del movimento».

La RGS rientra nel concetto
di riabilitazione globale del paziente mieloleso, riaccompagnato nella sua vita tenuto conto
di tutti gli aspetti di cui necessita. «Per
poterlo fare – prosegue Villa – è
indispensabile disporre di un’equipe multidisciplinare impegnata su un
programma riabilitativo personalizzato. Il programma di rieducazione di ogni
persona ricoverata a MRI tiene conto del tipo ed entità della lesione spinale
riportata e delle condizioni psicologiche della persona per adattarvi qualità e
carichi di lavoro riabilitativo che a sua volta viene rimodulato, durante la
degenza, sulla persona in base al mutare della condizione clinica».

Nell’accostamento di un paziente
allo sport vanno considerati preliminarmente almeno due fattori: la stabilità clinica internistica e la condizione neuromotoria. «Cerchiamo di inserire la RGS già durante il
primo ricovero riabilitativo appena raggiunta la fase di stabilizzazione
clinica – conclude Villa –. Ad oggi
non abbiamo riscontrato né problematiche neurofisiologiche né psicologiche
correlate a tale attività, ciò significa che lo sport può essere inserito
precocemente nell’attività riabilitativa».

Redazione Nurse Times

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