Livelli di Clark nella stadiazione Melanoma

Il melanoma cutaneo è un tumore che deriva dalla trasformazione tumorale di alcune delle cellule che formano la pelle, i melanociti

Non sono note con certezza le cause che inducono la comparsa di un melanoma, ma sono stati individuati alcuni fattori di rischio 

Quando una biopsia ha rivelato la presenza del melanoma, si determina a quale stadio si trova il cancro, che può essere definito dalla grandezza del tumore e da quanto in lontananza (in termini di metastatizzazione) si è diffuso dal sito primario. Ciò è molto importante perché questi fattori determineranno poi il migliore trattamento al fine di assicurare un efficace recupero.

La stadiazione del Melanoma si esegue mediante:

Informazioni cliniche – Descrive la somma di tutte le informazioni raccolte attraverso i vari test e gli esami clinici (esame fisico, raggi X, TAC etc.).Informazioni patologiche – Combina le informazioni derivanti dalla biopsia (profondità di Breslow, presenza di lacerazioni, conta mitotica, livello di Clark) e le biopsie dei linfonodi e di altri organi.Ci sono diversi fattori per la stadiazione del melanoma, e si ricordano:

Spessore del tumore: indica quanto in profondità il tumore è penetrato nella pelle. Può essere misurato in due modi (spessore di Breslow e livello di Clark).Breslow Profondità: misura, in millimetri, quanto spesso è il tumore primario. Lo spessore di Breslow viene misurato a partire dallo strato più esterno dell’epidermide fino al punto più profondo della sua estensione all’interno della pelle. Più spesso è il tumore, più grande è la probabilità che metastatizzi o che si diffonda ai linfonodi regionali o ai siti distali. Ha rimpiazzato dal livello di Clark, in quanto metodo più accurato e più predittivo ai fini della prognosi.Livello di Clark: descrive quanto il tumore sia penetrato in profondità considerando i vari strati della cute. Più profondo è lo stato di pelle penetrato, più alta è la possibilità che il tumore si sia diffuso ai linfonodi o ai siti distali. Il livello di Clark usa numeri romani, (I-V) per determinare quanto il tumore sia penetrato in profondità attraverso i vari strati. Anche se è stato abbandonato come criterio per la determinazione dello stadio di un melanoma, poiché è stato usato costantemente per 40 anni molto probabilmente sarà ancora usato per molto tempo.Lacerazione tumorale: Questo tipo di ulcerazione non è come quella della pelle, che è una ferita aperta. In questo caso specifico si intende che, all’analisi microscopica, l’epidermide (lo strato superiore della pelle) che ricopre il melanoma primario non è intatta. Queste ulcerazioni non possono essere viste a occhio nudo. Tumori ulcerati hanno una maggiore probabilità di rilasciare metastasi rispetto ai tumori non ulcerosi.Conta mitotica: Indica il numero di cellule cancerose che sono in procinto di dividersi quando il patologo controlla un campione al microscopio elettronico. Una conta mitotica più alta (cioè l’avere più cellule che si dividono ad un dato momento) significa che il cancro ha più probabilità di crescere e diffondersi. Nel 2010, la American Joint Committee on Cancer ha raccomandato l’uso della conta mitotica come il fattore determinante per la definizione del melanoma di stadio I.Numero di linfonodi metastatizzati: più grande è tale numero, meno favorevole sarà la prognosi.Metastasi microscopiche o macroscopiche nei linfonodi:Micrometastasi sono piccole cellule tumorali non visibili ad occhio nudo. Si possono vedere al microscopio dopo una biopsia del linfonodo sentinella.Macrometastasi. Possono essere “sentite” durante un esame fisico attraverso la palpazione o possono essere viste a occhio nudo quando controllate da un chirurgo o patologo. La loro presenza si conferma con una biopsia o una dissezione del linfonodo o guardando se il tumore si estende al di fuori della capsula del linfonodo.Nonostante la progressione e i rischi sono differenti per ciascun paziente, in generale, le macrometastasi hanno esito meno favorevole delle micrometastasi.Sito delle metastasi distali: pelle e altre aree: Il melanoma che si è diffuso ad altre aree della pelle, (metastasi distali), come il tessuto sottocutaneo, o ai linfonodi distali, ha comunque una prognosi più favorevole di quello che si è diffuso ad altre aree del corpo come organi vitali o tessuti non-cutanei.Livello di lattato deidrogenasi serica (LDH): L’enzima LDH si trova nel sangue ed altri tessuti del corpo. Alti livelli di LDH corrispondono ad un’altra probabilità che il melanoma si sia diffuso (metastasi), e una prognosi meno favorevole che con i livelli normali.A livello mondiale le stime parlano di circa 132.000 nuovi casi all’anno. Per quanto l’incidenza del melanoma sia maggiore nel sesso femminile, la mortalità risulta più elevata nel sesso maschile.

Nel nostro Paese l’incidenza annua è rapidamente aumentata; annualmente si registrano circa 13.000 nuovi casi; ogni anno i morti per melanoma sono circa 1.500. Le regioni più colpite sono quelle settentrionali con 12 casi ogni 100.000 persone, nelle regioni meridionali si registrano invece 6-7 casi ogni 100.000 abitanti

CALABRESE Michele

Fonte:

www.albanesi.it

www.ilmelanoma.it

www.melanomaitalia.org
L’articolo Livelli di Clark nella stadiazione Melanoma scritto da Michele Calabrese è online su Nurse Times.

Sindrome di Dravet: diagnosi e terapia

Approfondiamo la conoscenza di una malattia epilettica rara.

La sindorme di Dravet è una grave encefalopatia epilettica refrattaria che insorge entro il primo anno di vita, ha prognosi grave e si associa a grave e ritardo psicomotorio. Statisticamente si presenta con un’incidenza pari a 1/20.000 nati-vivi ed è piu comune nel sesso maschile. Clinicamente, invece, si presenta con crisi cloniche/toniche-cloniche, monolaterali e generalizzate, associate a febbre una o due volte nell’arco di un mese. Nel corso degli studi sulla malattia si è riscontrata familiarità con mutazione del gene SCN1A, che sostanzialmente ha come compito la codifica del canale del Sodio.

La diagnosi è clinica. Infatti l’esame elettroencefalografico risulta spesso normale e l’esame genetico con alterazione del gene SCN1A non sempre si associa a manifestazione della malattia. Solo l’associazione tra crisi epilettiche precoci ed episodi febbrili può orientare la diagnosi. Inoltre risulta difficile la diagnosi in breve tempo, perché molto spesso si fa diagnosi differenziale con altre malattie, come quelle che afferiscono al gruppo delle encefalopatie epilettiche gravi dell’infanzia.

Infatti l’esordio precoce della malattia può essere infatti appannaggio di una sindrome di Lennox-Gastaut, la quale però presenta segni ben diversi, soprattutto all’esame elettroencefalografico, laddove si apprezzano onde lente diffuse intercriptiche durante la veglia < 3 Hz, picchi ritmici rapidi (10 Hz) durante il sonno, crisi epilettiche multiple (assenze atipiche, convulsioni assiali toniche e cadute atoniche o miocloniche improvvise), lieve ritardo mentale associato a disturbi della personalità. E’ molto importante sapere che gli episodi epilettici sono refrattari a farmaci antiepilettici noti ,  ma rispondono bene nella fase acuta a benzodiazepinici. Le molecole che fanno ben sperare per risultati efficaci sono topiramato, che può essere utilizzato nei bambini, e stiripentolo (al quale molto spesso non rispondono a terapia). La presa in carico può prevedere anche la dieta chetogenica, la fisioterapia e la rieducazione del linguaggio. Sebbene la frequenza delle crisi diminuisca man mano che il bambino cresce, la prognosi a lungo termine non è buona, a causa del deficit cognitivo e della persistenza dei disturbi del comportamento. La sindrome di Dravet si associa a un alto rischio di morte improvvisa durante l’infanzia, in particolare tra i 2 e i 4 anni. Il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha adottato un’opinione positiva, raccomandando l’autorizzazione all’immissione in commercio di una soluzione orale di cannabidiolo. Si tratta del primo medicinale di una nuova classe per l’epilessia e primo medicinale derivato da cannabis di origine vegetale. La soluzione orale di cannabidiolo di GW è stata approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense nel giugno 2018 in pazineti di età pari o superiore a due anni. Michele Calabrese L'articolo Sindrome di Dravet: diagnosi e terapia scritto da Michele Calabrese è online su Nurse Times.

La violenza sugli operatori sanitari non è solo aggressioni, ma è nel sistema

Eccoci di nuovo ad affrontare il tema della violenza sugli operatori sanitari ed in particolare su noi infermieri

Abbiamo più volte affrontato il problema dandone diverse letture, vorrei ora quindi dare alla questione un taglio di analisi diverso per stimolare la riflessione nostra e soprattutto di quanti in questo ambito hanno responsabilità enormi ed in una qualche maniera devono dare risposte.

Risposte che finora tardano ad arrivare e che anche quando sembrano in dirittura d’arrivo non ritengo adeguate a risolvere alcun problema.

L‘inasprimento delle pene, ben venga, ma che non risolve e non risolverà mai i problemi che sono alla base; non essendo questo un problema risolvibile con la repressione e/o la militarizzazione dei presidi e dei pronto soccorso.

Per tentare di risolvere il problema bisogna ricercarne le ragioni profonde.

Bisogna vedere e capire cosa è accaduto e cosa sta accadendo nel nostro sistema salute; nella cultura del nostro paese e soprattutto portare lì gli adeguati correttivi. Altrimenti si rischia di vedere gli effetti, seppur nefasti, ma di non vederne le cause, di interrogarsi e proporre soluzioni sugli effetti, ma non sulle cause profonde e quindi evitare di dare le risposte che invece servirebbero davvero.

Come già detto in precedenti articoli ho affrontato il problema in termini più complessivi e già nell’agosto 2016 scrivevo questo articolo “Aggressioni nei Pronto Soccorso problema locale o di politica sanitaria nazionale?” per poi riprendere l’argomento centrato proprio sui pronto soccorso nel settembre 2016, proponendo questa analisi “E se nei Pronto Soccorso iniziassero a giungere solo i codici gialli e rossi?”

Da allora nulla è cambiato e nulla è stato fatto, limitandosi a rincorrere soluzioni tampone, peraltro ancora lungi dall’essere attuabili, che non serviranno a nulla se non ad una demagogica propaganda del politico di turno.

Oggi vorrei andare oltre; vorrei ragionare sul concetto di violenza e su come tutti noi in ogni momento della nostra vita lavorativa siamo oggetto di un’inaudita violenza che non è solamente quella delle aggressioni verbali o fisiche.

Credo sia necessario affrontare anche questo aspetto perchè non riesco a capire per quale strano motivo una qualsiasi persona debba astenersi dall’aggredirci quando sotto i suoi occhi noi tutti siamo palesemente aggrediti e violentati proprio dalle istituzioni, dalle nostre aziende, dalla stampa che ci addita troppo facilmente come la causa di tutti i mali, misconoscendo addirittura la nostra figura ed attribuendo a noi ogni nefandezza che altre figure compiono all’interno di diversi setting sanitari.

Credo che sia giusto e coretto affermare che la violenza nei confronti di noi infermieri non è semplicemente rappresentata da quello che emerge evidente.

Le aggressioni verbali e le vere e proprie aggressioni fisiche cui siamo esposti sono solo la punta dell’iceberg di tante altre violenze subdole e meschine. Quelle nascoste e volutamente ignorate per evitare che ognuno si prenda le proprie responsabilità.

Possiamo dire ed affermare che ogni qualvolta non si permette ad un infermiere di svolgere il suo mandato professionale secondo il D.M. 739/94, demansionandolo ed umiliando la sua professione e le sue competenze, si commette e perpetra una violenza nei suoi confronti.

Possiamo affermare che quando si sbatte il mostro infermiere in prima pagina salvo poi scoprire che infermiere non è, si compie nei confronti della professione una violenza.

Ogni volta che per le croniche carenze di staffing si impedisce ad un infermiere di usufruire del suo riposo o gli si fa fare un doppio turno o gli si impedisce di partecipare a corsi di aggiornamento si compie nei fatti una violenza nei suoi confronti.

Quando un professionista laureato ed iscritto ad un ordine viene retribuito con 8 euro lordi all’ora o si impongono contratti di lavoro con stipendi vergognosi precludendo agli stessi anche la possibilità di avere altre attività in libera professione si commette una vera violenza.

Quando si obbligano gli infermieri a svolgere il loro ruolo in un sistema salute allo sbando totale esponendoli gratuitamente alla rabbia ed al senso di abbandono dei cittadini si compie ancora una vola una violenza nei loro confronti, ma anche dei cittadini.

Detto questo allora dovremo dire che buona parte delle responsabilità è dei politici che ci hanno governato; tutti i ministri della salute che si sono succeduti finora; tutti i presidenti di regione; tutti gli assessori alla salute; tutti i direttori generali delle aziende sanitarie ed i loro dirigenti; tutti i giornalisti che dall’alto delle loro penne intrise del nostro sangue giudicano ed affermano senza neanche saper su chi depongono i loro amorevoli strali

Personalmente credo che dovrebbero affrontare tutti insieme i problemi e la violenza che essi stessi hanno costruito e generato in questi ultimi anni; metterli difronte ognuno alle proprie responsabilità ed obbligarli a fare ciò che si deve per riportare il nostro sistema salute a ciò che era ripartendo magari dallo spirito ispiratore della 833/78.

Iniziamo ad affrontare questo fallimento annunciato che è il nostro sistema salute e ricostruire un sistema che sia universale, equo, solidale ed accessibile.

Iniziamo partendo dalle mutate esigenze della popolazione, iniziamo a prenderci cura dei cittadini prima ancora che si ammalino, iniziamo ad occuparci delle cronicità e delle fragilità: portiamo i cittadini ad essere attori di rilievo del sistema salute.

Noi infermieri ci siamo sempre stati vicini ai nostri pazienti anche mettendo in campo enormi sacrifici e subendo in silenzio tutta la violenza di cui abbiamo parlato.

Ora però dettiamo le nostre condizioni, prima tra tutte che cessino tutte le violenze messe in essere dalle aziende, dalla stampa e dalla politica; che si affrontino i problemi veri, che si metta mano ad una riforma organica del sistema salute che metta al centro il prendersi cura piuttosto che il curare e che quindi finalmente si dia un giusto riconoscimento ai nostri sacrifici, alle nostre competenze ed alle infinite potenzialità in quest’ottica della nostra professione.

Vogliamo le scuse di tutti per quanto siamo stati costretti a subire; vogliamo che siano la politica e le aziende per prima a rispettare la nostra professione; vogliamo che la stampa quando parla di noi lo faccia sapendo di cosa parla senza fare di “tutta l’erba un fascio” pur di fare il titolo acchiappalettori.

Vogliamo un giusto riconoscimento sociale ed economico per quanto fatto finora e per quanto potremo fare da ora in avanti.

Angelo De Angelis
L’articolo La violenza sugli operatori sanitari non è solo aggressioni, ma è nel sistema scritto da Angelo De Angelis è online su Nurse Times.

Farmaci, infermieri a rischio tumori. Lo studio pubblicato su JAMA

L’European Biosafety Summit, tenutosi nei giorni scorsi a Roma, ha affrontato il problema dell’aumento dell’incidenza di tumori ed aborti a carico degli operatori sanitari che maneggiano farmaci citotossici, principalmente chemioterapici

Anche l’esposizione professionale
ad altre sostanze chimiche, tuttavia, può comportare rischi a lungo termine per
la salute.

In concomitanza con i lavori del Summit, un’indagine appena pubblicata sulla rivista JAMA (Journal of American Medical Association), durata 30 anni e condotta su una coorte di oltre 70.000 infermiere statunitensi, ha infatti dimostrato che l’elevata esposizione ai disinfettanti determina un aumento tra il 25 ed il 38% del rischio di sviluppare broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). 

Lo studio,
denominato “Nurses’ Health Study II” (NHSII) è stato iniziato nel
1989, quando 116.429 infermiere di 14 stati degli Stati Uniti, di età compresa
tra i 25 ed i 44 anni, completarono un questionario sulla loro storia clinica e
sullo stile di vita.

Da allora sono stati inviati questionari di follow-up ogni 2 anni.

L’NHSII
era stato inizialmente progettato per studiare la salute delle donne (ad es. gli
effetti a lungo termine dell’uso di contraccettivi orali; oppure i determinanti
di alcune malattie croniche, come il cancro al seno o le malattie
cardiovascolari, nella popolazione femminile), ma la gamma di fattori di
rischio si è poi ampliata nel tempo.

Le
informazioni sulle esposizioni professionali a sostanze chimiche irritanti impiegate
per la pulizia di superfici e strumenti medici (ad es. glutaraldeide,
candeggina, perossido di idrogeno, alcool e composti di ammonio quaternario) sono
state raccolte per la prima volta nel 2009 – anno individuato come baseline per
lo studio – e la conclusione di questa parte dello studio è avvenuta nel 2015.

I dati sono stati poi “ripuliti” ed analizzati tra il 2018 ed il 2019.

L’esposizione
professionale ai disinfettanti è stata valutata mediante questionario e matrice
di esposizione all’attività lavorativa (job-task-exposure matrix o JTEM).

Delle 73.262 infermiere incluse nell’analisi finale, 582 di loro avevano ricevuto una diagnosi di BPCO. L’uso settimanale di disinfettanti è stato associato all’incidenza della BPCO, dopo un aggiustamento dei dati per età, abitudine al fumo (pacchi di sigarette fumati), razza, etnia e indice di massa corporea.

I risultati
suggeriscono quindi che il maneggiare disinfettanti chimici con elevata
frequenza può essere un fattore di rischio per gli infermieri per lo sviluppo
della BPCO. Qualora studi futuri confermeranno questi risultati, è opportuno
che vengano sviluppate strategie di riduzione dell’esposizione, compatibili con
il controllo delle infezioni nelle strutture sanitarie.

Luigi D’Onofrio

Fonte: Dumas O., Varraso R., Boggs K. et alia, “Association of occupational exposure to disinfectants with incidence of chronic obstructive pulmonary disease among US female nurses”, JAMA Netw. Open, 2(10), disponibile su jamanetwork.com
L’articolo Farmaci, infermieri a rischio tumori. Lo studio pubblicato su JAMA scritto da Luigi D’Onofrio è online su Nurse Times.

Influenza, scoperto anticorpo chiave per lo sviluppo di un vaccino universale

Uno studio americano potrebbe aprire la strada a un farmaco in grado di proteggere da tutti i ceppi del virus.

Passi avanti nella ricerca di un vaccino universale contro l’influenza.
Ricercatori americani hanno infatti identificato un anticorpo che protegge –
per il momento lo si è visto nei topi – da una vasta gamma di virus dell’influenza.
Lo studio, condotto dalla Washington University School of Medicine di St.
Louis, dalla Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York City e dallo
Scripps Research di La Jolla, in California, è stato pubblicato su Science.

L’anticorpo potrebbe servire da modello per la progettazione
di un vaccino universale,
in grado di proteggere da tutti i ceppi del virus, ma anche di un nuovo farmaco per trattare i casi gravi di influenza.
“Ci sono molti ceppi del virus
dell’influenza in circolazione – commenta Ali Ellebedy, assistente di Patologia e immunologia alla Washington
University e fra gli autori dello studio –.
Quindi ogni anno dobbiamo progettare e produrre un nuovo vaccino in grado di proteggere contro i ceppi più comuni in
quello specifico anno. Ora, immaginate se potessimo avere un vaccino in grado di proteggere da tutti i ceppi di influenza,
compresi i virus dell’influenza aviaria e suina. Questo anticorpo potrebbe
essere la chiave per la progettazione di un vaccino davvero
universale”.

Ellebedy ha scoperto l’anticorpo nel sangue prelevato da un
paziente ricoverato con influenza al Barnes-Jewish Hospital di St. Louis
nell’inverno del 2017. Questo particolare campione di sangue era insolito:
oltre a contenere anticorpi contro
l’emoagglutinina, la principale proteina sulla superficie del virus,
conteneva altri anticorpi, mirati contro
qualcos’altro. L’analisi successiva ha mostrato il potere degli anticorpi. “È stata davvero
una sorpresa per noi – sottolinea Florian
Krammer, del Mount Sinai -. Per scoprire
se gli anticorpi potevano
essere usati per trattare i casi gravi di influenza, Krammer e il suo team li
hanno testati su topi trattati con una dose letale di virus influenzale. Tutti
e tre sono stati efficaci contro molti ceppi, ma un anticorpo, chiamato 1G01, ha
protetto i topi contro tutti e 12 i ceppi testati, che rappresentavano tutti e
tre i gruppi di virus dell’influenza umana, nonché di quella aviaria e altri
ceppi animali”.

Riferisce Ellebedy: “Tutti
i topi sono sopravvissuti, anche se hanno ricevuto l’anticorpo 72 ore dopo l’infezione.
Si sono ammalati e hanno perso peso, ma li abbiamo comunque salvati. È stato
notevole. Ci ha fatto pensare che potremmo essere in grado di usare questo
anticorpo in uno scenario di terapia intensiva, quando è troppo tardi per usare
il Tamiflu”. Questo antivirale deve infatti essere somministrato entro
24 ore dai sintomi.

Redazione Nurse Times

Fonte: PharmaKronos

L’articolo Influenza, scoperto anticorpo chiave per lo sviluppo di un vaccino universale scritto da Redazione Nurse Times è online su Nurse Times.