Stievano: “Il nursing ha raggiunto punte di eccellenza sia dal punto di vista educativo che manageriale”

Il ricercatore italiano Alessandro Stievano, entrato a far parte degli infermieri selezionati lo scorso anno per l’ingresso nell’American Academy of Nursing (AAN) in qualità di fellow, è stato intervistato da Marina Vanzetta.
Stievano è il terzo infermiere italiano della storia ad aver ottenuto l’ambizioso riconoscimento internazionale, dopo gli accademici Loredana Sasso e Gennaro Rocco.

Risale al 4 novembre scorso la nomina a “Fellow”. Arrivarci non è scontato: quanto lavoro e quale percorso per ottenerla? Sono stato molto gratificato da questa onorificienza. Appartenere ad una prestigiosa istituzione come l’American Academy of Nursing è di indubbio prestigio anche per la possibilità di sviluppare un network di collegamenti internazionali che potranno avere delle benefiche ricadute per il nursing italiano e globale. Senza dubbio il lavoro svolto in questi anni con Il Centro di Eccellenza per la Cultura e la Ricerca Infermieristica dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Roma (CECRI – Opi Roma) è stato fondamentale. Il Centro è infatti sorto ufficialmente 10 anni orsono ed è un progetto unico in Italia, fra i primi in Europa, in linea con le positive esperienze maturate in questo senso negli USA che ha contribuito negli ultimi due lustri allo sviluppo delle competenze ed al miglioramento delle performance sia dei singoli professionisti che delle équipe professionali impegnate nell’assistenza alle persone tramite il finanziamento di decini di progetti di ricerca infermieristici e mutiprofessionali e con la promozione di corsi di formazione e dell’Evidence Based Practice. Proprio in tal senso, nel luglio 2018, è arrivato un importante riconoscimento internazionale per il CECRI, il Centro è, infatti, entrato a far parte, unico in Italia, tra i gruppi di ricerca affiliati al prestigioso Joanna Briggs Institute (JBI), storica organizzazione internazionale di ricerca e implementazione di linee guida e buone pratiche, che collabora con quasi cento centri di ricerca nel mondo per sviluppare le evidenze cliniche infermieristiche. Anche tale inclusione ha contribuito al mio riconoscimento per l’attività svolta. Sono meno di un centinaio gli infermieri leader selezionati in tutto il mondo dall’American Academy of Nursing ogni anno.
Nel nostro Paese sono soltanto tre quelli che possono fregiarsi di questo. L’impressione è che gli infermieri italiani, nonostante siano ricercati in diversi Paesi europei, facciano più fatica dei colleghi di altri Paesi a raggiungere certi livelli e riconoscimenti: è così? E se sì, quali sono le ragioni?
Sì, è cosi, ma bisogna fare alcune considerazioni. Prima di tutto bisogna affermare che l’American Academy of Nursing è un’istituzione a base statunitense e quindi la maggior parte dei Fellow provengono da quel Paese. In secondo luogo, per entrare nell’accademia non basta aver pubblicato decine di articoli o aver effettuato molte ricerche, è importante l’impatto che il lavoro di quella singola persona ha sulla comunità nazionale ed internazionale nello sviluppo del nursing. Come terza considerazione bisogna anche sostenere che l’accademia solamente negli ultimi anni si è aperta al contesto globale in maniera importante. Tutte queste variabili fanno sì che l’inclusione nella prestigiosa istituzione d’oltreoceano sia piu facile per gli infermieri statunitensi che per gli infermieri provenienti dall’Europa o da altre Regioni del mondo. Indi, direi che non è un discorso legato agli infermieri italiani ma agli infermieri di tutto il mondo che hanno più difficolta ad accedere ad un’istituzione ancora fortemente ancorata negli Stati Uniti.
La ricerca è il Suo filo conduttore: dal Centro di Eccellenza per la Cultura e la Ricerca Infermieristica (CECRI) alla cui nascita ha contribuito, all’International Council of Nurses (ICN) dove è direttore associato dei programmi legati alla regolamentazione e all’educazione.
Quali sono gli obiettivi che intende perseguire anche in questa veste?
Mentre l’educazione e la ricerca educativa nel nursing è sviluppata in molti Paesi avanzati, lo stesso non si può sostenere per la regolamentazione. La ricerca sulla regolamentazione è scarsa per tutte le professioni sanitarie e non sanitarie. Concentrandosi sul campo più prettamente infermieristico tale filone investigativo è fortemente carente anche a livello internazionale. Poche istituzioni ordinistiche dei Paesi avanzati effettuano delle ricerche sui modelli di regolamentazione o su aspetti specifici legati alla regolamentazione su base stabile. Spesso sono ricerche on spot e basate su singole esigenze derivanti dal contesto socio-sanitario che si viene a creare in quel particolare momento. Manca quindi a livello dei grandi ordini infermieristici internazionali una programmazione stabile e dei centri di eccellenza che sviluppino la ricerca nel settore. Unica e positiva eccezione in tal senso deve essere considerato il National Council State Board of Nursing (NCSBN), che ha attivato da alcuni una linea di ricerca stabile sulla regolamentazione e ultimamente ha pubblicato l’atlante mondiale della regolamentazione infermieristica. Di riguardo è anche da menzionare la rivista Journal of Nursing Regulation dello stesso ordine statunitense che ormai da un decennio pubblica novità di interesse, per l’universo infermieristico, dedicate a tale aspetto disciplinare.
Quanto distante è la professione infermieristica italiana sotto il profilo accademico, clinico e sociale rispetto a quella degli altri Paesi?
Bisogna distinguere vari piani di sviluppo sociale delle professioni sanitarie anche in relazione ai contesti socio-sanitari di riferimento. In tal senso, l’Italia come molti Paesi avanzati del mediterraneo ha una forte tradizione medico centrica. Fin dall’antichità la medicina si è sviluppata nell’ambito delle isole greche e poi nell’antica Roma. Tutto ciò si riflette oggi nello sviluppo e nel posizionamento sociale di queste professioni. Oggi il cambiamento è accelerato nei contesti fortemente globali (Cina, USA, India, etc…) ma i contesti socio-culturali della Penisola e di altri Paesi dell’area, spesso molto tradizionalisti, permettono un cambiamento a ritmo moderato rispetto ad altre regioni del mondo. Comunque, malgrado alcune variabili socio-culturali che permettono una progressione lenta verso una maggiore centralità del cittadino, il nursing ha raggiunto in Italia punte di eccellenza sia dal punto di vista educativo che manageriale. Il gap più grande è costituito dal divario percepito tra teoria e pratica in alcune realtà sanitarie di tutto il Paese. È proprio la pratica clinica basata su una nuova centralità del cittadino e delle evidenze scientifiche sostenute dagli infermieri, anche con competenze avanzate, che costituirà il volano di sviluppo dell’infermieristica in Italia nei prossimi decenni.
Se dovesse dire una che cosa invidiano gli infermieri degli altri Paesi agli infermieri italiani e una cosa che invece manca agli infermieri italiani?
È difficile fare generalizzazioni e facendo cosi si incorre spesso nello stereotipo e nell’errore. Non ci sono ricette legate all’etnia o alla nazionalità ma alle singole persone rispetto al loro grado di sviluppo professionale e culturale. Tali indicatori non si applicano al singolo infermiere rispetto alla sua identità nazionale ma rispetto al singolo professionista con il suo bagaglio di competenze ed esperienze in un contesto fluido, ibrido, meticcio, direi, sempre più interconnesso e legato alle grandi reti digitali.
Simone Gussoni
Fonte: Fnopil
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Carenza LUCENTIS® (ranibizumab) – modalità di richiesta d’Importazione dall’estero (30/01/2019)

L’Agenzia Italiana del Farmaco rende disponibili aggiornamenti relativi al medicinale “LUCENTIS® (ranibizumab)”, non reperibile sul territorio nazionale per il quale è stata autorizzata l’importazione dall’estero su richiesta dell’azienda.

Nuove tecnologie, come cambierà la vita dei disabili

Tra le invenzioni in mostra al Forum economico mondiale di Davos c’è anche la t-shirt che consente ai non udenti di “ascoltare” musica. L’ha ideata un’italiana.
Una t-shirt che consente di ascoltare un concerto di musica sinfonica ai non udenti. Una camicia con bottoni all’apparenza normali, ideata per aiutare a vestirsi chi soffre del morbo di Parkinson. Una parete in velcro pensata per chi soffre di Alzheimer e che aiuta a ritrovare gli oggetti della quotidianità, come il telecomando o un libro. Una app ideata per i non vedenti che consente di dare consigli sull’accessibilità di luoghi come le fermate degli autobus.
Negli ultimi dieci anni la tecnologia e la creatività hanno permesso di rendere la vita meno difficile a chi soffre di una qualche forma di disabilità. Il Cooper Hewitt, museo del design di New York, ha raccolto in un’esposizione 70 prodotti che stanno cambiando o potrebbero cambiare la vita quotidiana di milioni di persone. Potenzialmente un miliardo: tanti sono, secondo l’Onu, i disabili, definiti “la più grande minoranza al mondo”.
Nei giorni scorsi una parte della mostra è volata in Europa per essere esposta al Forum economico mondiale di Davos, a caccia di nuovi mercati e di investitori. «In questo momento storico – ha spiegato Caroline Baumann, direttrice del museo newyorchese, intervenendo nella città svizzera – l’attenzione dei leader globali è rivolta alla costruzione di una società inclusiva. E allora noi incoraggiamo tutti a impegnarsi in questa direzione».
Francesca Rosella è un’italiana che vive a Londra. Con Ryan Genz ha disegnato SoundShirt (foto), una t-shirt in microfibra che consente di “ascoltare” musica anche a chi è sordo. Grazie a 16 sensori, ognuno dei quali corrisponde a una sezione d’orchestra (violini, percussioni, flauti…), le vibrazioni fanno percepire sul collo, sui polsi o sulla schiena ciò che le orecchie non riescono a sentire. «Chiunque la può usare – spiega l’ideatrice – per ascoltare musica attraverso un’esperienza diversa, decisamente immersiva».
La stilista Maura Hurton ha invece ideato una camicia speciale per il marito, affetto dal morbo di Parkinson. La chiusura dei bottoni stava diventando una sfida quotidiana, «frustrante e, a volte, addirittura impossibile». Per questo ha realizzato MagnaReady, un sistema di chiusura magnetica nascosto sotto i bottoni. Indossarla è un attimo e, a vista, sembra una camicia come tutte le altre.
Elana Langer ha poi pensato alla madre quando ha creato EarringAid, un apparecchio acustico che, in realtà, è anche un gioiello da indossare con vanto. La donna è partita da una riflessione molto semplice: «Gli occhiali da vista sono ormai diventati oggetti alla moda. Perché anche gli apparecchi acustici non possono diventarlo?». E così lo strumento per amplificare suoni è diventato un accessorio da personalizzare con forme e colori.
Muoversi in città è spesso complicato per le persone affette da disabilità fisiche. Per semplificare loro la vita, Maayan Ziv ha ideato l’applicazione AccessNow, una sorta di mappa interattiva che consente di valutare l’accessibilità dei luoghi in tutto il mondo. Funziona in crowdsourcing, attraverso i commenti e i suggerimenti degli stessi utilizzatori. Discorso analogo vale per BlindWays, app sviluppata dalla Perkins School che guida i pedoni non vedenti attraverso le fermate degli autobus.
Ma gli esempi sono infiniti e c’è persino una cabina elettorale tutta particolare, la Los Angeles County Voting Booth, disegnata de Ideo, che permette la piena accessibilità ai cittadini con diverse disabilità. Farà il suo esordio alle elezioni americane del 2020.
Redazione Nurse Times
Fonte: La Stampa
 
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Farmaci sartani, individuata la fonte delle impurità

Secondo la Fda, si tratta di agenti cancerogeni provenienti da un sottoprodotto chimico del processo utilizzato per sintetizzare l’ingrediente attivo dei medicinali.
La Food and Drug Administration (Fda), ente regolatore federale americano ha identificato la fonte delle impurità che hanno contaminato milioni di confezioni di farmaci comunemente utilizzati per la pressione arteriosa e l’insufficienza cardiaca, costringendo i produttori al richiamo dei prodotti negli ultimi sette mesi.
Si tratta di agenti cancerogeni provenienti da un sottoprodotto chimico del processo utilizzato per sintetizzare l’ingrediente attivo dei medicinali, che comprendono valsartan, losartan e irbeesartan. Le persone che assumono tali farmaci, detti sartani, potrebbero essere state esposte a tracce di impurità per almeno quattro anni, a seguito di un cambiamento nel modo in cui le aziende producono il principio attivo.
L’Agenzia ha rivelato che i contaminanti, denominati N-Nitrosodimetilamina e N-Nitrosodietilamina, si producono quando “sono presenti sostanze chimiche e condizioni di reazione specifiche, e possono anche derivare dal riutilizzo di materiali come i solventi”. Ha inoltre spiegato che i sottoprodotti non sono stati rilevati durante le ispezioni di routine, perché il processo dipende dalla conoscenza degli scienziati su quali “intrusioni” chimiche possono crearsi accidentalmente durante il processo produttivo. Conoscenza, questa, che fino a poco tempo fa mancava.
Non è chiaro quanti pazienti siano stati esposti agli agenti cancerogeni, ma gli esperti della Fda hanno stimato che da 1 a 2 milioni di persone potrebbero aver assunto i medicinali contenenti le impurità. “Stiamo facendo importanti progressi nel comprendere come siano nate queste impurità, mitigando il rischio per i pazienti e capendo quali misure devono essere adottate per evitare che ciò si ripeta in futuro”, hanno detto il commissario della Fda, Scott Gottlieb, e il direttore del Centro per la valutazione e la ricerca sui farmaci, Janet Woodcock.
L’agenzia ha minimizzato i rischi per la salute pubblica, sottolineando come ogni 8mila pazienti che hanno assunto per 4 anni la dose massima di un farmaco, il valsartan, potrebbe verificarsi un caso in più di cancro.
Redazione Nurse Times
Fonte: PharmaKronos
 
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